Cotture

Introduzione

Associando razionalmente gli alimenti nella composizione dei pasti, la Bioterapia Nutrizionale®, metodica terapeutica sviluppata dalla Dottoressa Domenica Arcari Morini, riesce ad influire sulle funzioni organiche del corpo umano per preservare lo stato di salute o per sostenere la Vis Sanatrix Naturae in caso di malattia. Resta il fatto che, senza uno studio approfondito dei singoli alimenti in tutte le loro modalità di preparazione e cottura, il nutrizionista, sia pur capace di fare diagnosi sofisticate e di intuire le necessarie strategie terapeutiche, sarebbe come un generale che, non conoscendo a fondo i suoi soldati, non potrebbe farli agire in modo coerente ed efficace. Programmato geneticamente e biologicamente per utilizzare gli alimenti crudi, nel corso dell’evoluzione l’uomo ha ampliato le possibilità di scelta dei cibi, imparando ad utilizzare anche quelli cotti. Gli alimenti crudi veicolano il massimo nutrizionale in quanto ognuno di essi viene assunto nella pienezza dell’equilibrio armonico e vitalizzante. Con la cottura si verifica una inevitabile riduzione di questa potenzialità, ma il vantaggio è quello di migliorare la digeribilità di alcuni cibi, rendendoli commestibili, e di permetterne la conservazione per tempi più lunghi. La nutrizione interviene nei processi organici a diversi livelli. Il primo dipende dal contenuto nutrizionale dell’alimento stesso, con tutto il suo patrimonio di nutrienti. Il secondo livello riguarda la modalità di utilizzo dei cibi, crudi o cotti nei modi più vari, con esaltazione di alcune funzioni o soppressione di altre. Per esempio, il carciofo crudo svolgerà soprattutto un’azione di drenaggio epatico per il suo contenuto in cinarina e di facilitazione della diuresi per l’acqua di vegetazione. Il carciofo lesso sosterrà la cellula epatica in difficoltà per il suo contenuto in zuccheri, resi più biodisponibili dalla bollitura. Il carciofo trifolato, cotto in un fondo di olio extravergine d’oliva, eserciterà un moderato stimolo del fegato, che sarà sollecitato in modo più intenso dal carciofo fritto, il quale agirà provocando una contrazione della colecisti con liberazione di bile nel lume intestinale. Il terzo livello dipende dall’associazione degli alimenti nella composizione dei pasti. Infatti, associare il radicchio con la carne servirà nelle anemie sideropeniche, in virtù dell’apporto di ferro presente in entrambi. Associare il citato vegetale con il pesce contribuirà soprattutto per sollecitare un metabolismo rallentato, grazie allo iodio del pesce ed al ferro del radicchio. Infine, consumare il radicchio con il riso faciliterà il fegato nel lavoro di disintossicazione, in quanto il ferro, in funzione di carrier biochimico, contribuirà a drenare le scorie tossiche, mentre l’amido del riso fornirà l’energia necessaria alla cellula epatica per svolgere il suo lavoro catabolico. Se ne deduce che la conoscenza degli alimenti e delle funzioni organiche permette di creare delle associazioni i cui componenti agiscono in sinergia per determinate finalità nutrizionali e terapeutiche. Viceversa, la casualità di scelta può indurre a consumare pasti i cui componenti sono antitetici per la complessità metabolica dell’organismo umano. Per esempio, associare il pesce con derivati del latte come i formaggi produrrà un’informazione contraddittoria e antifisiologica, in quanto il pesce tenderà a stimolare la funzione tiroidea per il suo apporto di iodio, mentre il formaggio la deprimerà a causa dell’azione antagonista del calcio.

Dal crudo al cotto

In generale le cotture più adatte dei cibi sono quelle che avvengono nel minor tempo possibile e con una temperatura non eccessivamente elevata, in modo da non alterare eccessivamente l’insieme dei nutrienti. Ma come nasce il sistema di cottura degli alimenti? Tornando indietro nel tempo, si potrebbe ipotizzare che il primo sistema di cottura sia stato quello allo spiedo in ampi spazi, dove era possibile cuocere i pezzi di carne, semplicemente infilzandoli ed esponendoli al calore. Probabilmente con il tempo fu più comodo cuocere al riparo da agenti atmosferici come la pioggia, per esempio in ambienti chiusi da tralicci o tende, trasformando lo spiedo in cottura alla brace o alla griglia. Successivamente, allo scopo di limitare il fumo in un ambiente confinato, si iniziò a porre la carne in placche di ferro, realizzando una prima rudimentale modalità di cottura al forno. Una tappa molto importante fu la scoperta che grazie ad alcuni grassi animali o vegetali il cibo si poteva cuocere, friggendolo, semplicemente tagliato in piccoli pezzi. Furono i vegetali, cereali e leguminose a spingere definitivamente l’uomo a pensare alla cottura per renderli commestibili. Ad esempio, alcune radici dovevano essere cucinate per permettere la rottura delle fibre immangiabili a crudo. Tutte queste esperienze suggerirono all’uomo primitivo la necessità di creare recipienti in differenti materiali per la cottura. Una documentazione più precisa e circostanziata sull’argomento è tuttavia disponibile solo grazie all’avvento della scrittura, tremila anni prima di Cristo. Si sa, infatti, che già nell’antica Mesopotamia e in Egitto si utilizzavano recipienti in ceramica per bollire e in bronzo o ferro per friggere. Risalgono a quest’epoca anche i resti di una batteria da cucina ricca e diversificata composta da attrezzi molto simili ai nostri. Tornando ai primordi della cucina è certo che il primitivo si accontentava di arrostire la carne su rudimentali spiedi o di scaldare l’acqua in otri primitivi realizzati con pelli cucite. Solo in seguito con l’uso della ceramica comparvero recipienti da cottura che possono essere definiti gli antenati delle nostre pentole. I Romani utilizzavano per lo più batterie in bronzo e risale a quell’epoca la prima produzione su vasta scala di pentole. Intere regioni dell’impero si specializzarono nella produzione di recipienti di cottura “vasa coquitoria” che già allora si distinguevano in strumenti da ebollizione e da frittura. I primi con pareti alte, i secondi con pareti più basse e diametro maggiore, tutti comunque completati da manici e coperchi. L’uso della pentola in terracotta, decisamente più economica e più facile da lavorare del metallo, proseguì anche nel Medioevo e solo in seguito, con il perfezionamento delle tecniche di lavorazione, si diffusero le pentole in rame e ferro anche fra il popolo. Tuttavia è interessante notare che fino al 1500 le forme dei contenitori, malgrado il passare dei secoli, non subirono modifiche sostanziali. Solo intorno alla fine del 1500, l’inserimento nel menù quotidiano di un’alimentazione più ricca e differenziata e la rinnovata attenzione delle classi più abbienti verso la cucina portarono a inevitabili modifiche degli strumenti di cottura. Il grande interesse per la cucina, intesa come arte, diede impulso allo studio di pentole e padelle che si specializzarono ulteriormente assumendo forme sempre più diversificate in funzione dell’uso. Da allora si sono evolute le tecniche di produzione, sono stati scoperti nuovi metalli più o meno adatti alla cottura del cibo, come alluminio e acciaio, e si sono specializzate le tecniche di cottura. Di fatto si può affermare che il tempo ha confermato la validità di quanto già rilevato dagli avi, che le forme dei contenitori, differenziate per ogni tipo di cottura, hanno grande importanza nell’ottenere una preparazione ottimale e che i rapporti tra diametro ed altezza in funzione delle forme e delle dimensioni sono una costante.

Materiali e forme

Così come la diversa conducibilità termica dei materiali fa sì che la scelta di questo o quel contenitore (in rame, alluminio, ferro o acciaio) sia determinante per soddisfare ogni specifica esigenza di cottura, altrettanto decisive sono le forme. Anche in questo caso il motivo principale per cui si predilige una forma invece di un’altra è strettamente correlato alla qualità del risultato. Sia che si tratti di una pentola, che di una casseruola o un tegame, in cottura il calore viene comunicato al cibo per trasmissione diretta attraverso le pareti del contenitore. È evidente che una superficie piana appoggiata su un fornello o su una piastra rappresentano la relazione più stretta e semplice con una sorgente di calore. Nelle forme piane il calore si trasmette quasi esclusivamente attraverso la superficie di base. Questo fatto fa sì che gli alimenti in cottura raggiungano velocemente e in modo rapido ed uniforme una temperatura elevata, soprattutto se viene utilizzato un contenitore di metallo ad alta conducibilità termica. Griglie, piastre, casseruole basse, padelle e tegami sono contenitori a superficie piana che utilizzano il bordo solo con funzione di contenimento. Dotati di una grande imboccatura che permette ai liquidi di evaporare in fretta, evitano la bollitura anche solo parziale del cibo. Essi sono adatti a grigliare, friggere, glassare le verdure, rosolare i filetti e mantecare risotti e paste in tempi rapidi. Casseruole più alte, le cui pareti sono circa 1/2 o 2/3 del diametro, sono adatte alla preparazione di zuppe, creme o brasati che richiedono temperature costanti ed omogenee senza zone di surriscaldamento. Per questi contenitori sono consigliati rame ed alluminio per la loro alta conducibilità termica.
Le pentole a sviluppo verticale che espongono all’evaporazione una superficie piuttosto piccola in rapporto al loro volume, consentono di conservare più a lungo il liquido di cottura. In questo caso, dal momento che le pareti del recipiente non sono direttamente coinvolte nella trasmissione di calore, in quanto il cibo cuoce avvolto nel suo liquido di bollitura, non è necessario utilizzare contenitori ad alta conducibilità termica. Le pentole a bordi alti, tuttavia, non favoriscono una cottura veloce perché il vapore acqueo contenuto nell’alimento ricade all’interno del recipiente, il che condizionerà un tempo più lungo per terminare la cottura e una perdita del potere nutrizionale dell’alimento. Tendenzialmente in questo tipo di pentole vengono cotti gli alimenti che hanno bisogno di una cottura lenta come la sobbollitura, che costituisce una delle cotture peggiori che altera il sapore dell’alimento e ne impoverisce il contenuto nutrizionale, in quanto provoca una disidratazione troppo lenta, con rischio di ossidazione dell’alimento che diventa meno digeribile. Per questo motivo le persone che hanno difficoltà gastriche istintivamente manifestano avversione per i cibi bolliti e imbibiti di acqua.
Per valutare la differenza tra la padella e la casseruola, potrebbe essere interessante fare l’esperienza di cuocere contemporaneamente in due stoviglie diverse, una a bordi alti e una a bordi svasati e bassi, con la stessa quantità di olio, aglio e pomodoro. Si otterranno due preparazioni nutrizionali solo apparentemente simili, ma con caratteristiche organolettiche molto diverse, e soprattutto azioni organiche differenti. Infatti con la cottura in padella si agevolerà la funzione del fegato, in quanto l’acqua evapora e l’alimento cuoce rapidamente concentrandosi. Viceversa, quella nella pentola a bordi alti aggraverà la funzione epatica e digestiva, a causa dell’imbibizione e quindi della maggiore difficoltà da parte dei succhi enterici di penetrare e scomporre i nutrienti dell’alimento in questione.
Importante è quindi la forma delle stoviglie, ma anche il materiale di cui sono fatte. La cottura migliore è quella che si realizza con materiali in acciaio, alluminio, rame e ferro, quest’ultimo soprattutto in caso di anemia, in quanto l’alimento stesso si arricchisce di ferro liberato dal metallo. Basti considerare il fatto che durante la seconda guerra mondiale, nonostante la ridotta disponibilità degli alimenti, l’anemia sideropenica era statisticamente insignificante rispetto ai tempi attuali, in quanto allora la maggior parte delle padelle erano fatte di ferro. Oggi queste stoviglie sono in disuso, a causa della loro difficoltà di manutenzione, ignorando il loro vantaggio per la salute umana. Infatti la padella di ferro è l’unica il cui metallo non costituisce un pericolo, come quella di alluminio o di rame non stagnato, ma addirittura è di grande vantaggio. Per pulirla dopo l’uso basta detergerla con uno strofinaccio, rimetterla sul fuoco con una manciata di sale grosso e, appena quest’ultimo sarà caldo, se ne strofinerà la superficie per asportare ogni residuo di cibo e la riporrà dopo averla unta con olio extravergine d’oliva, in modo da evitare qualsiasi fenomeno di ossidazione. Se è molto utile per le cotture ripassate, trifolate o per i soffritti, la padella di ferro non è indicata per il fritto, in quanto i tempi prolungati e la temperatura elevata potrebbero provocare un’alterazione del sapore e delle caratteristiche organolettiche del cibo, a causa di una eccessiva liberazione del metallo da parte della stoviglia stessa.
La cottura in alluminio è una delle migliori dal punto di vista dell’uniformità di cottura, persino più dell’acciaio che tende a bruciare nel punto della sorgente di calore. Le stoviglie in alluminio hanno il vantaggio della leggerezza, sono resistenti ai graffi, facili da pulire e non sono pericolose tanto per il metallo liberato durante la cottura, quanto per quello che gli alimenti possono assorbire se sono lasciati nel recipiente dopo la cottura, soprattutto quelli particolarmente acidi. L’acciaio presenta caratteristiche opposte: ha il vantaggio di essere il più resistente agli urti, anche se è pesante, e quindi poco maneggevole, ed è un pessimo conduttore di calore. Di conseguenza cede lentamente quello accumulato, e sempre lentamente tende a raffreddarsi. E’ indicato però per cotture lunghe a temperatura costante, come fritture, bolliture, brasature e stufature. Il sale nei cibi cotti in acciaio va aggiunto solamente durante l’ebollizione, in quanto potrebbe aggredire il metallo e provocare la liberazione di nickel, con rischio allergizzante.
Anche se attualmente poco utilizzate, meritano una citazione le pentole di rame, materiale che racchiude in sé elementi comuni all’acciaio e all’alluminio: resistente, ha una buona conducibilità termica, il che lo rende più duttile e adatto a diverse tipologie di cottura. La caratteristica più negativa, la cessione di sostanze velenose, viene risolta grazie alla stagnatura interna, che permette di isolarlo completamente. Il rame va usato solo da chi ne conosce i rischi, in quanto potrebbe essere causa di gravi avvelenamenti da metallo. Per questa ragione non vanno mai lasciati cibi cotti in contenitori di rame, ed anche quello stagnato deve essere evitato per i pazienti allergici al nickel. Inoltre, il recipiente non va mai messo vuoto sul fuoco e per rimestare durante la cottura è necessario utilizzare un mestolo di legno in modo da non graffiare la stagnatura interna. La cottura in terracotta è una delle più antiche ed arricchisce l’alimento in quanto cede in piccolissime quantità il silicio contenuto nel materiale di fabbricazione. Si tratta di una cottura povera, utilizzata un tempo dai contadini, per i quali niente doveva essere perso o buttato. Essa è adatta per i legumi che richiedono tempi lunghi e fuoco basso, non va bene per individui che abbiano difficoltà renali, ma può essere molto utile per tutti i pazienti che necessitano di un apporto di componenti strutturali come il silicio, per esempio in caso di osteoporosi, dopo fratture ossee, per la caduta dei capelli o per la fragilità degli altri annessi cutanei, come le unghie.

Evitare

La cottura al microonde agisce accelerando e mettendo in vibrazione le molecole organiche, il cui effetto immediato al contatto con le cellule ed i tessuti organici è sostanzialmente sconosciuto. Per questa ragione, tale modalità di cottura è prudenzialmente da sconsigliare, soprattutto negli individui malati. L’uso sempre più frequente di pentole antiaderenti, di basso costo ma facili da graffiare se non si usano mestoli di legno o plastica, provocano una liberazione di parte del rivestimento, che finisce negli alimenti in cottura. Comunque, a contatto con il cibo, il materiale di cui la stoviglia è fatto rilascia sempre dei componenti chimici, per cui è bene escludere tale tipo di stoviglie dall’uso quotidiano. Anche le pentole o le piastre in pietra lavica ricostruita possono rivelarsi pericolose, in quanto le colle utilizzate per tenere insieme i vari pezzi possono essere più o meno tossiche.
La pentola a pressione può essere utile solo nei momenti di emergenza, in quanto abbrevia notevolmente i tempi, ma cuoce a temperature molto più elevate della norma, e quindi i nutrienti presenti nell’alimento subiscono trasformazioni strutturali maggiori rispetto ad altri tipi di cottura. Infine, le piastre di ghisa sono fatte da un materiale resistente e durevole, ed hanno il vantaggio di distribuire il calore in modo uniforme, trattenendolo a lungo. Tuttavia, esse sono molto pesanti, per cui non sono maneggevoli, si scaldano lentamente e possono arrugginire.

Espansione e concentrazione

In base alle modifiche che un alimento può subire, e tenendo conto dei differenti effetti a carico delle funzioni organiche, si differenziano le cotture per espansione da quelle per concentrazione. Esistono poi modalità miste, per esempio le verdure prima lessate e poi ripassate in padella. Nella modalità per espansione la cottura avviene in un mezzo liquido, il che provoca una penetrazione di quest’ultimo nella struttura dell’alimento e, parallelamente, si verifica una diluizione dei nutrienti, che possono essere comunque ingeriti, come nelle minestre, oppure persi se l’acqua di bollitura viene esclusa. Nelle tecniche per concentrazione le cotture avvengono a temperatura elevata, le molecole superficiali dell’alimento coagulano e questo impedisce la fuoriuscita e la perdita dei succhi nutritivi. Nel presente capitolo verranno descritte singolarmente le varie modalità di cottura, specificandone le indicazioni e le controindicazioni a carico delle funzioni organiche.

La frittura

Si tratta di un metodo di cottura per concentrazione molto antico, attuata con un mezzo lipidico portato a temperatura elevata, impiegando una padella bassa a bordi svasati che garantisca la più rapida disidratazione dell’alimento. Pur essendo considerata una tecnica difficile, diventa automatica una volta che se ne siano compresi bene i semplici principi basilari e si sia fatta un po’ di esperienza. La frittura è un metodo diffuso in tutto il mondo e noto dai tempi più antichi. Già durante l’Impero romano si friggevano i cibi, dolci o salati che fossero, solitamente nell’olio di oliva. Una ricetta del periodo, lafrictilia, è la probabile antenata delle attuali chiacchiere o bugie di carnevale. Pur essendo una delle modalità di cottura più discusse da parte della moderna Scienza dell’alimentazione, con un’ampia schiera di sostenitori e di detrattori, solamente per il fatto di aver retto alla prova del tempo, la frittura va considerata uno dei mezzi che l’umanità ha utilizzato per la salvaguardia della salute e della sopravvivenza della specie. Piuttosto, bisognerebbe considerare criticamente non la frittura in sé, ma con che cosa e come si frigge!
La temperatura del mezzo lipidico deve essere elevata, ma non tale da bruciare l’esterno dell’alimento prima che l’interno sia cotto. Infatti, dal centro dell’alimento si sprigiona vapore man mano che esso cuoce, formando delle bollicine in superficie. Questo processo chimico centripeto, ostacola la penetrazione del grasso all’interno. Quindi un buon fritto è quello che presenta ancora una traccia di umidità all’interno, poiché la quota lipidica non deve penetrare, se non in quantità minima. In ogni caso, per ottenere un fritto leggero e croccante, bisogna usare abbondante olio e, soprattutto, fare attenzione alla temperatura, che dovrà essere elevata ma sempre al di sotto del punto di fumo. Il consiglio nella frittura è quello di usare preferibilmente olio extravergine d’oliva, che, a seconda delle varietà, ha un punto di fumo superiore ai 180°C, e non gli oli di semi, economici, ma con punto di fumo molto più basso. Un olio abbastanza stabile che può essere utilizzato nei casi di intolleranza all’olio d’oliva, è quello di arachide, che ha un punto di fumo intorno ai 180°C, o quello di palma che arriva fino ai 240°C.
Tuttavia, i grassi normalmente subiscono fenomeni naturali di ossidazione, ma a temperatura elevata e in presenza di ossigeno atmosferico, le reazioni di ossidazione sono notevolmente accelerate. L’intensità del processo ossidativo viene contrastata dalla presenza di sostanze antiossidanti. Fra tutti gli oli, soltanto quello extravergine d’oliva reagisce in modo molto stabile all’attacco combinato dell’ossigeno e delle alte temperature, poiché è ricco in sostanze antiossidanti. Più elevata è la temperatura, più facilmente si assiste ad alterazioni dei grassi, che nei casi estremi, possono essere responsabili di effetti tossici, a causa di reazioni di ossidazione, polimerizzazione, ciclizzazione e isomerizzazione. Ogni grasso possiede un proprio specifico livello di tolleranza alle alte temperature, oltre il quale i trigliceridi si scindono nei loro componenti fondamentali: glicerolo e acidi grassi. Il glicerolo costituisce lo scheletro dei trigliceridi, e si disidrata formando l’acroleina, che è una sostanza volatile di odore pungente con azione irritante nei confronti della mucosa gastrica e tossica per il fegato. Gli acidi grassi subiscono la termo-ossidazione con formazione di perossidi, e successivamente si origineranno composti dannosi come aldeidi, chetoni e polimeri.
Le sostanze antiossidanti contenute nella quota insaponificabile dei lipidi, oltre agli effetti biologici e ai benefici nutrizionali, spiegano la stabilità dell’olio extravergine d’oliva e ne giustificano la migliore conservabilità e resistenza al calore, cioè alla cottura in generale e alla frittura in particolare, rispetto agli altri oli di semi. Questa presenza di agenti antiossidanti contenuti nelle drupe (olive), non viene significativamente ridotta dal metodo di estrazione, che avviene a freddo o a temperature non elevate, mentre per gli altri tipi di oli si usano solventi chimici come l’esano. I processi di raffinazione, infatti, disperdono del tutto o in gran parte i componenti della quota insaponificabile e questo si traduce in una perdita di antiossidanti.
La frittura realizzata in modo corretto, nonostante lo shock termico che altera le molecole superficiali, in virtù del brevissimo tempo di cottura, preserva al massimo i nutrienti interni, provocandone alterazioni meno marcate rispetto a qualsiasi altra modalità di impiego del cotto. Inoltre, la disidratazione veloce, con la minima impregnazione lipidica, inferiore a quella delle cotture al forno o ripassate in padella, facilita l’azione dei succhi digestivi. Per la loro azione di stimolo epato-biliare, nella composizione dei pasti, gli alimenti fritti devono essere associati ad altri che contengano grandi quantità di acqua di vegetazione, indispensabile per sostenere biochimicamente il lavoro epatico richiesto dalla frittura stessa.
La frittura può essere con o senza rivestimento. Oltre a quelle semplici, con immersione dell’alimento in olio bollente, tra le numerose modalità di frittura, possibili anche con l’impiego di una friggitrice, a condizione di averne un’accurata manutenzione, esiste il fritto dorato. Esso consiste nel passare l’alimento prima nella farina e poi nell’uovo, prima di immergerlo nel mezzo lipidico bollente. L’effetto organico sarà quello di uno stimolo epato-biliare molto intenso, dato sia dalla modalità frittura, sia dall’uovo che costituisce il rivestimento più esterno, a diretto contatto con il calore. La frittura panata, invece, si distingue in quanto il cibo da friggere viene passato prima nell’uovo e poi nel pan grattato e talvolta anche nella farina. Il contenuto in carboidrati di questi due ultimi componenti rende la frittura panata utilizzabile anche da parte di individui con una funzionalità del fegato meno efficiente. Ancora più tollerabile è la frittura in pastella, utilissima per numerose verdure, ma anche per filetti di pesce o carne. Per ottenere una pastella semplice che rimanga asciutta e non assorba olio, si impasta la farina con acqua, variando nella fluidità a seconda dell’alimento che si deve cuocere, e aggiungendo un cucchiaio di olio extravergine d’oliva e un pizzico di sale. Infine, la frittura dopo infarinatura semplice assorbe una maggiore quantità di olio rispetto alle altre modalità e quindi può rivelarsi meno digeribile e meno adatta per individui a rischio di patologie.
È importante che i fritti non vengano salati prima della cottura. Il sale concentra l’umidità e impedisce la formazione di una superficie croccante, per cui il fritto va salato solo al momento di servirlo.

Cotture trifolate, soffritte e ripassate

Differenti dalla frittura vera e propria, in questi casi il mezzo lipidico costituisce solo un modo per impedire che l’alimento bruci al contatto diretto del calore. Nella maggior parte dei casi si tratta di cotture riguardanti vari tipi di verdure. Per esempio, nella modalità trifolata si tagliano in piccoli pezzi vegetali come funghi, zucchina, carciofo, melanzana, (etc.), e si metteranno a crudo in una padella nella quale si siano fatti soffriggere leggermente l’aglio o la cipolla, o erbe aromatiche varie in un fondo di olio extravergine d’oliva. L’alimento si lascia insaporire finché non evapora la sua quota d’acqua e la cottura non sia completa. In altri casi, ma in modo particolare per chi soffre di problemi gastrici, verdure come la cicoria, l’indivia belga, gli spinaci o altre verdure a foglia, dopo essere state bollite, vanno ripassate in quanto l’eliminazione dell’acqua e la presenza dello strato lipidico che contorna l’alimento facilitano l’azione dei succhi gastrici. Per questi tipi di cotture può essere molto indicato l’impiego di padelle in ferro, in particolare nei soggetti con anemia sideropenica, ma anche per aumentare la biodisponibilità dei vari nutrienti, in quanto il ferro liberato dalla stoviglia si comporterà da carrier per tutte le reazioni biochimiche cellulari. Infine, il soffritto, grazie al quale molte preparazioni risulteranno più digeribili oltre che gustose. Per esempio, per la realizzazione del ragù, la carne, preventivamente soffritta, subirà una minore perdita di nutrienti e sarà tollerata meglio dall’organismo. Invece, se fosse immersa direttamente nel sugo, subirebbe una lessatura, con conseguente denaturazione totale delle proteine e saturazione della quota lipidica, oltre a non produrre alcun tipo di stimolo epatico.

Cotture alla griglia o alla piastra

Si tratta di un metodo di cottura estremamente naturale, che può essere utilizzato all’aperto e, al limite, senza particolari attrezzature. Sulla piastra o sulla griglia le vivande, e in particolar modo la carne, cuociono in ambiente asciutto, senza l’accumulo di vapore che si forma intorno all’alimento cotto, per esempio, in forno. Come sempre, è tuttavia necessario tenere conto di alcune avvertenze. La cottura alla piastra o alla griglia con legna o carbone di legna è veloce e denatura pochissimo i cibi. Da evitare quella a fiamma diretta da gas di città per la cancerogenicità degli idrocarburi, e l’impiego di legno trattato con vernici. Il posizionamento del cibo deve avvenire quando il calore è al massimo, in modo tale da provocare una agglutinazione delle proteine di superficie della carne salvaguardando l’integrità dei nutrienti interni. La carne non va punta durante la cottura, per non causare la fuoriuscita dei succhi interni e, in generale, la salatura deve avvenire solo alla fine, in quanto il sale richiama i liquidi e l’alimento si seccherebbe troppo. Dopo l’uso, la griglia o la piastra vanno accuratamente spazzolate, pulite con uno straccio e leggermente unte con olio extravergine d’oliva per evitarne l’ossidazione. Il vantaggio di questo tipo di cotture, almeno per quanto riguarda alcuni tipi di carni come quelle di maiale o di abbacchio, consiste nel fatto che una consistente quota lipidica viene persa per percolamento, rendendole idonee anche nell’alimentazione di pazienti con ipercolesterolemia e dismetabolismo lipidico.

Bollitura, sbollentatura e sobollitura

Bollire dei cibi comporta una sensibile perdita di valori nutrizionali, in parte recuperabili dal liquido di cottura. Gli alimenti immersi nell’acqua, tendono a perdere nel brodo alcuni nutrienti. Ad esempio, la carne messa in acqua fredda e portata ad ebollizione perde nel brodo una discreta quantità di proteine di grassi, dal 50 al 70% dei minerali e buona parte delle vitamine del gruppo B e dell’acido pantotenico. Al contrario, se la carne é immersa in acqua calda si riduce la fuoriuscita di nutrienti e l’alimento mantiene un buon valore nutrizionale. Anche per gli ortaggi la maggior parte dei minerali e delle vitamine passa nel liquido di cottura. Infatti la cottura in acqua provoca la fuoriuscita dei composti idrosolubili tra cui la vitamina C e quelle del gruppo B. Anche i sali minerali vengono persi nel liquido di cottura, il che può essere vantaggioso in alcune condizioni cliniche, e meno utile nei casi di soggetti disidratati e demineralizzati. Per la vitamina A non idrosolubile e abbastanza resistente al calore, la perdita è meno significativa. Per ottenere i migliori risultati sia sul piano del gusto che su quello del valore nutrizionale è necessario seguire particolari accorgimenti. Salvo che per la pasta ed il riso, la bollitura va fatta in acqua bollente non salata, in quanto il sale durante la cottura faciliterebbe la formazione di aggregati cristallini, che potrebbero provocare difficoltà a livello renale. Nel caso specifico dei pazienti affetti da patologie organiche del rene, che non potrebbero tollerare un carico eccessivo di sali, si realizza la doppia bollitura delle verdure, mettendole a bollire e contemporaneamente preparando sul fuoco una seconda pentola con acqua. A metà cottura si scola l’alimento, eliminando i sali già persi in diluizione nella prima acqua, e si immerge nel secondo recipiente per completare la cottura. La sbollentatura consiste nell’immergere un alimento per breve tempo in acqua bollente, scolandolo pochi minuti dopo la ripresa del bollore. Generalmente si effettua come passaggio preliminare, ad esempio per le verdure al gratin o ripassate. Lo scopo è quello di intenerire, impoverire di sali o semplicemente rendere commestibili alcuni alimenti. Un caso particolare è rappresentato dalla sobollitura, vale a dire il riscaldamento di un liquido, senza arrivare alla fase vera e propria di ebollizione, con tutte le caratteristiche fisico-chimiche che essa comporterebbe. Tale modalità è utilizzata soprattutto per il latte, allo scopo di evitare la formazione della classica schiuma, espressione sia della formazione di microbollicine di aria, con complicanze digestive per i pazienti a rischio, che di saturazione del prezioso e delicato patrimonio lipidico di questo alimento primordiale per tutti i mammiferi.

Cotture al vapore

Dal punto di vista della conservazione dei principi nutritivi dell’alimento, quella al vapore costituisce una delle migliori modalità di cottura, in quanto i cibi cuociono a temperature relativamente basse, di solito inferiori ai 100°C se non si usa la pentola a pressione. Per questa ragione, si hanno perdite minime di vitamine e minerali, ed i cibi mantengono pressoché inalterati i sapori e gli aromi. Essa si presta soprattutto per cucinare ortaggi e pesci, che conservano in questo modo intatti aroma e valori nutritivi. Meno consigliabile è, invece, per le carni, che in generale necessitano di temperature elevate all’inizio della cottura per non disperdere i succhi in esse contenuti. Per la concentrazione dei sali, la cottura al vapore è molto indicata nei bambini o negli adolescenti in accrescimento o nelle persone denutrite, nei pazienti disidratati dopo forme influenzali con febbre elevata e tutte le volte che si verifichi una profusa perdita di liquidi. Per le stesse ragioni, tuttavia, essa sarà controindicata nei pazienti renali e nei soggetti imbibiti ed ipertesi.

Cotture al forno

Ancora meno indicata nei casi di difficoltà della funzione renale, o di imbibizione organica è la cottura al forno. Infatti, si verifica una disidratazione dell’alimento ed una concentrazione dei nutrienti e dei sali, maggiore rispetto alla cottura a vapore. Per esempio, le zucchine a vapore rilasciano nel fondo della casseruola un liquido verdastro, ricco dei sali dispersi, cosa che non avviene in quella al forno. Per limitare in parte questo inconveniente, gli alimenti vanno messi in forno già riscaldato alla temperatura prevista, in modo da provocare una crosta di superficie e salvaguardare i nutrienti interni. Modalità particolari di cotture al forno sono quella al gratin, che prevede la copertura dell’alimento con pan grattato, o in besciamelle, che comporta modifiche significative dei componenti del latte e del burro, controindicate nei soggetti che lamentino difficoltà della funzione epato-biliare.

Cotture affogate o stufate

Questo metodo di cottura consiste nel mettere la verdura cruda direttamente in un fondo di olio extravergine d’oliva bollente, chiudendo con il coperchio e facendo in modo che l’alimento possa stufare nella sua stessa acqua evaporata. Anche in questo caso il potenziale nutrizionale dell’alimento viene preservato al massimo, ma la digeribilità non è ottimale e le controindicazioni riguarderanno ancora una volta le patologie renali. Simile alla cottura affogata è quella stufata, che consiste nel far cuocere l’alimento a calore moderato, in una ridotta quantità di liquido o di grasso. Questo metodo è spesso utilizzato per tagli di carne piuttosto duri. Normalmente si aggiungono alla vivanda anche verdure, erbe aromatiche e spezie, che ultimata la cottura, vengono serviti assieme alla carne, di cui possono favorire la digeribilità, o esplicare diverse funzioni organiche.

Alcuni utensili

Anche se il presente non ha lo scopo e la necessità di completezza richiesti per un libro di cucina, è necessario segnalare alcuni utensili che possono essere utili per particolari preparazioni. Il mestolo di legno, nonostante la maggiore difficoltà di pulizia rispetto a quello di acciaio, ha il vantaggio di non graffiare le stoviglie e di non essere causa di possibile ossidazione degli alimenti, soprattutto di quelli dotati di un certo grado di acidità. Indispensabili sono le forbici da cucina, sia per tranciare alcune tipologie di carni, come il pollo, il coniglio o l’abbacchio, sia per tagliare verdure ricche di cellulosa e fibre. Lo scavino, invece, semplifica alcune operazioni possibili anche con un coltello piccolo e sottile, in particolare per pulire la parte centrale dei carciofi, o per preparazioni come la mela o la pera al forno, che richiedono l’asportazione del torsolo senza tagliare a metà il frutto intero. La schiumarola servirà per estrarre l’alimento cotto dal liquido di bollitura, o dall’olio di frittura per cibi ridotti in pezzi molto piccoli. In altri casi potrà servire allo scopo una semplice pinza.
Per quanto riguarda la frusta, altro utensile di uso comune, essa potrà essere impiegata per montare a neve l’albume d’uovo, per preparare la maionese e per numerose altre necessità nella preparazione degli alimenti. Fra i molteplici usi del colino da cucina, basti ricordare l’operazione di filtraggio del liquido conseguente alla cottura in padella delle vongole, allo scopo di eliminare qualsiasi residuo di sabbia. Infine, per le numerose modalità di impiego dell’uovo, un semplice strumento come quello illustrato nella figura agevola la separazione del tuorlo dall’albume, qualora tale procedimento fosse necessario.

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