Riso

Riso

Caratteristiche generali

La coltura del riso ha una storia millenaria nei Paesi asiatici, ed approda in Europa e in Italia intorno al ‘400. Le varietà principali di riso sono due: Oryza sativa Indica, coltivata soprattutto nell’Asia sud-orientale e Oryza sativa Japonica, coltivata in Occidente, con cariosside più tondeggiante rispetto alla precedente varietà. L’elevata concentrazione in silice delle parti esterne rende queste ultime scarsamente idonee all’alimentazione umana, per cui vengono allontanate con i processi di raffinazione. Un ulteriore procedimento, basato sull’impiego di talco e glucosio, produrrà il riso brillato. Il valore nutrizionale di quest’ultimo è inferiore a quello del riso sbramato perché con la pula si perdono quote rilevanti di minerali, proteine e vitamine, ma soprattutto si determinano carenze di alcuni aminoacidi, in particolare tiamina, treonina, lisina e triptofano, mentre in quello integrale si verifica un deficit solo di lisina. Questa carenza potrà essere bilanciata dall’associazione con i piselli o con i fagioli, che invece ne sono ricchi. Nel riso “parboiled”, allo scopo di ridurre questa perdita nutrizionale, si tratta con vapore il riso sbramato, per poi eliminare la cuticola per essiccamento. Questo fa sì che, durante il trattamento, vi sia una diffusione verso l’interno del chicco di sali, proteine e vitamine, specialmente del gruppo B ed E. Infine, esistono dei tipi di riso sottoposti a cottura rapida in acqua bollente o aria calda, che producono fessurazioni nel chicco per una maggiore penetrazione dell’acqua durante l’ebollizione. Il riso integrale, ammesso che sia coltivato senza impiego di anticrittogamici ed erbicidi, di cui restano inevitabilmente tracce nella cuticola esterna del chicco, è sconsigliabile nelle gastriti, nelle ipocloridrie e nell’atonia della parete dello stomaco. Esso diventa assolutamente controindicato nelle malattie renali, sia per il maggiore contenuto in proteine, sia per la significativa percentuale di fosforo e potassio.

Una delle differenze fondamentali rispetto alla farina di frumento come fonte di carboidrati è l’assenza del glutine nella composizione nutrizionale del riso. Il glutine, presente nella farina di grano e di altri cereali come farro, o kamut, peraltro denaturato nella cottura per la preparazione della pasta o del pane, determina un aumento della pressione osmotica glomerulare tale da aggravare la funzione di filtrazione del rene, nei soggetti a rischio. Pertanto, in presenza di patologie renali, è preferibile il riso, a meno che il danno renale non sia conseguente a complicanze croniche del diabete, nel qual caso la ricchezza del riso in zuccheri ed amidi ne limita fortemente la possibilità di impiego. Gli amidi, infatti, sono dei carboidrati a rapido rilascio che, essendo immessi velocemente nel torrente circolatorio, determinano repentini rialzi della glicemia, sottoponendo ad uno stress eccessivo il pancreas dei pazienti diabetici. In questi casi, quando non sia reperibile la varietà di riso basmati, a minore indice glicemico, è certamente da preferire la pasta che, proprio per il suo maggior contenuto in proteine, garantisce una metabolizzazione dei carboidrati più lenta e bilanciata. In base a tali considerazioni appare evidente come un alimento, se utilizzato in maniera opportuna, possa essere di notevole aiuto e, al contrario, se impiegato senza considerare il quadro clinico del paziente, possa diventare addirittura dannoso per la salute.

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Cibo, salute e malattie

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Uova

Uova

Dopo il latte, il secondo alimento “primordiale” del genere umano è stato sicuramente l’uovo, vale a dire una cellula gigante programmata dalla natura e deputata al mantenimento e alla trasmissione della vita. Pertanto, dal punto di vista nutrizionale, ma in una forma diversa dal latte, anche l’uovo possiede tutto ciò che è necessario per lo sviluppo di un essere vivente. Che l’uovo di gallina fornisca una grande vitalità e una notevole energia a chi lo mangia, è la conclusione a cui giunsero immediatamente tutte le antiche civiltà. E da allora questo dato non è stato più messo in dubbio. Proprio perché fonte di una grande energia, durante tutta l’antichità classica e anche nel Medioevo, le uova sono state considerate un alimento pregiato ed esclusivo, tanto che sotto il regno di Carlo Magno erano accettate dai feudatari come valida contropartita al pagamento del canone d’affitto delle terre. Nessuno, a quei tempi, dubitava del fatto che cibarsi di uova facesse un gran bene alla salute. Già per il medico Antimo, vissuto alla corte di Teodorico il Grande a Ravenna, fra il quinto e il sesto secolo, mangiare a digiuno uova di gallina procurava un vigore fisico superiore a quello assicurato da qualsiasi altro alimento.

Struttura dell’uovo

Come nei mammiferi, anche le uova degli uccelli sono in realtà cellule di derivazione.

Cellula uovo o tuorlo – Di forma subsferica, è la parte essenziale da cui prende origine l’embrione. Si compone di tre strati: membrana vitellina, disco germinativo, vitello.ovarica. Esse iniziano a dividersi e a differenziarsi subito dopo la fecondazione.

Quelle utilizzate nell’alimentazione umana, soprattutto uova di gallina (ma anche di piccione o di struzzo), sono di tipo cleidoico, cioè protette da un guscio calcareo. Nella struttura dell’uovo intero consideriamo: la cellula uovo, l’albume e il guscio calcareo. La membrana vitellina è una struttura complessa avvolgente l’uovo, che deve essere distinta dalla omonima struttura fibrosa e granulare secreta dalle cellule follicolari. Essa si forma automaticamente alla superficie di ogni cellula per fenomeni fisico-chimici (riordinamento molecolare e tensione superficiale).

Il disco germinativo è una piccola parte della cellula uovo che, per la minore densità, occupa il cosiddetto “polo animale”. Nell’altra metà si trova il tuorlo nutritivo che forma il “polo vegetativo”.

Infine, il vitello costituisce il maggior componente quantitativo della cellula uovo, ed è composto da vitello bianco (struttura conica chiara, sotto il disco germinativo, che si approfonda verso il centro, ove termina con una porzione sferica detta latebra) e vitello giallo (struttura che si dispone attorno alla latebra). Nell’insieme, il tuorlo assume il colore giallo, non per la disposizione concentrica, ma per la ricchezza di pigmenti derivati dall’alimentazione, come le xantofille.

Albume o bianco d’uovo – Si presenta come una sostanza vischiosa e translucida, dalla struttura non omogenea. A partire dal tuorlo, risulta composta da più strati che contengono svariate proteine, di cui alcune battericide in un mezzo acquoso, immunologicamente diverse nelle differenti specie di uova.

Il tuorlo e l’albume sono avvolti da una membrana (detta membrana testacea) composta da due lamine o foglietti di cheratina elastici e biancastri, accollati tra loro. Essi non si uniscono all’estremità ottusa dell’uovo, per cui creano uno spazio chiamato “camera d’aria”. Dopo la deposizione dell’uovo, tale camera provoca una riserva d’aria con evaporazione del liquido e scollamento dei foglietti.

Guscio calcareo – L’uovo è racchiuso in un guscio calcareo, posto direttamente sulla membrana testacea, costituito da uno strato esterno e dai foglietti testacei all’interno.

Tutto il guscio è impregnato di proteine che giungono per diffusione dall’albume, riempiendo gli spazi compresi tra le maglie del reticolo minerale, il che permette il ricambio di ossigeno e l’espulsione dell’anidride carbonica attraverso i pori. L’esistenza di questi microscopici pori è dovuta alla non perfetta congiunzione dei cristalli di calcite formanti il guscio stesso. La disposizione dei cristalli minerali di carbonato di calcio è particolare: essendo rivolti con le punte verso l’esterno, l’applicazione di una pressione da fuori li comprime l’uno contro l’altro, rafforzando la struttura.

L’integrità del guscio è fondamentale per la sicurezza igienica del prodotto, che deve essere garantita dal costante controllo medico-veterinario degli animali in allevamento. I pericoli di contaminazione (vedi salmonella) possono derivare dal contatto con residui fecali all’esterno del guscio, o da uova più vecchie di 10-12 giorni (in inverno) o 4-5 giorni (in estate), poiché la porosità del guscio e il ridursi del potere battericida del lisozima contenuto nell’albume possono favorire la penetrazione e il moltiplicarsi di batteri all’interno dell’uovo. Non esiste alcun pericolo se le uova sono fresche e sono accuratamente lavate prima della sgusciatura. Un criterio empirico ma efficace, per appurare la freschezza o meno dell’uovo, è quello dell’immersione nell’acqua salata. L’uovo fresco non galleggia, poiché la camera d’aria (presente tra le lamine biancastre di cheratina che avvolgono l’albume e il tuorlo) è troppo piccola. Man mano che l’ossigeno atmosferico penetra attraverso il guscio poroso, aumenta il volume di questa camera e dopo un certo numero di giorni si ha il galleggiamento. La grandezza della camera d’aria può essere determinata mediante un procedimento di trans-illuminazione che consiste nel far passare attraverso l’uovo la luce di una candela o di una lampadina.

Proprietà nutrizionali

Dal punto di vista dietetico, l’uovo è uno dei pochissimi alimenti che si può associare a tutto: al formaggio, al pesce, alla carne, ecc. La ragione di questa versatilità d’impiego consiste nel fatto che l’uovo è una cellula, una struttura vivente provvista di un equilibrio perfetto dal punto di vista nutrizionale, i cui componenti non sono differenziati e specializzati come quelli della carne e del pesce.

La differenza tra quest’ultimo tipo di alimenti e quelli i cui componenti sono differenziati e specializzati diventa importante quando esiste la necessità terapeutica di fornire un ingente quantitativo di proteine diverse. In tal caso, non è fisiologicamente corretto proporre due tipi di proteine differenziate superiori, che inevitabilmente metterebbero in difficoltà l’organismo, avendo tempi differenti di digestione e assimilazione.

Molto più gestibile è l’associazione di una proteina differenziata superiore con quella indifferenziata dell’uovo, per esempio: la cotoletta, il petto di pollo panato, l’uovo ripieno con tonno, ecc.

L’uovo, opportunamente utilizzato, non crea mai difficoltà a nessun organo vitale, tanto che si può impiegare anche nelle ipercolesterolemie e nelle ipertrigliceridemie.

A tal proposito, si è a lungo ritenuto che il consumo di uova facesse aumentare il tasso del colesterolo ematico a causa della colesterina, effettivamente presente nel tuorlo. In realtà, non si deve mai confondere la parte con il tutto e non bisogna mai dimenticare che in natura esistono, accanto alla sostanza principale, anche i cofattori e gli antagonisti della sostanza stessa. Ogni alimento, se consumato senza eccessiva manipolazione, è un perfetto equilibrio armonico, alterato solo quando l’uomo pretende di sostituirsi alla natura, forzandone le regole e le leggi. Anche per l’uovo, infatti, il potere nutrizionale si riduce, mentre il disturbo metabolico aumenta, a mano a mano che si passa dall’uso dell’uovo crudo integro a quelle cotture molto prolungate, come l’uovo sodo o addirittura ai prodotti derivati come i liofilizzati, ampiamente impiegati in pasticceria o nei catering. Queste manipolazioni, più o meno marcate, riducono la percentuale di lecitina contenuta nel tuorlo, che, fra le altre sue preziose funzioni, è anche un antagonista del colesterolo.

Disponibilità commerciali dell’uovo

Le uova comunemente in commercio sono oggi sottoposte a una severa normativa sanitaria, che ne garantisce anche la tracciabilità. Poiché il cibo è il primo e più importante fattore per la conservazione della salute e la prevenzione delle malattie, il consumatore deve imparare a scegliere fra le numerose tipologie di prodotti. Per quanto riguarda l’uovo, esiste un codice di 11 cifre che costituisce una vera e propria “carta d’identità”: tipo di allevamento, nazione di provenienza, comune, provincia, e codice del singolo allevamento. Segnaliamo soprattutto l’importanza della prima cifra di questo codice, che può essere 0, 1, 2, 3. Il codice 0 definisce i criteri dell’allevamento biologico e garantisce che le galline sono allevate a terra, in sufficienti spazi aperti e che il loro nutrimento non contiene integratori chimici, farmaci, integratori di sintesi, ecc.

Uovo e funzioni organiche

Uovo e stimolo androgenico

L’uovo si può considerare come l’espressione più concentrata dell’attività di accrescimento. Questa funzione è svolta in particolare dall’albume, tanto che nelle diete sconsiderate, proposte ai soggetti che frequentano le palestre per accrescere la massa muscolare, lo si faceva usare in quantità pericolosa per la salute (fino a venti uova al giorno senza il tuorlo).

Nel suo insieme, l’uovo si può senz’altro considerare un alimento che indirizza il metabolismo organico e l’equilibrio ormonale in senso anabolizzante. In endocrinologia questa funzione è svolta in forma primaria dal testosterone nel maschio (la cui azione è continuativa nel tempo) e dagli estrogeni nella prima metà del ciclo mestruale femminile (nella donna esiste una alternanza tra questa fase anabolica e strutturante e quella catabolica della seconda metà del ciclo). L’uovo s’inserisce in questo contesto, ma la strada che segue il suo stimolo è prima di tutto surrenalica (albume) e secondariamente gonadica (tuorlo). Infatti, l’uso concentrato e selettivo solo del “rosso” (che contiene proteine, ferro, iodio e soprattutto colesterina come precursore del colesterolo, quindi materiale primario per la formazione degli ormoni steroidei), negli adolescenti maschi con ipogonadismo o criptorchidismo senza ostacoli meccanici, funziona egregiamente per far virare la produzione steroidea in senso androgenico.

Uovo e reattività allergica

Anche quando la sua genuinità è indubitabile, l’uovo conserva sempre una certa azione allergizzante di base, per cui è sempre controindicato quando esiste una reattività eccessiva. Tuttavia, il problema principale per il quale l’uovo diventa induttore di allergie, è soprattutto legato al suo grande potere informativo e nutritivo. Infatti, l’embrione di pollo è da sempre usato in laboratorio come terreno di coltura, in virtù della sua capacità vitalizzante. Poiché le allergie dipendono unicamente dalla riduzione di una “soglia” presente in ogni organismo, l’uovo finisce per lavorare in questa direzione, rendendo sintomatologicamente manifesta una patologia che altrimenti potrebbe restare allo stato latente.

Anche il modo di consumare l’uovo può influire sulla sua allergenicità. Infatti, mentre l’uovo crudo può essere proposto nella reintroduzione dei primi alimenti dopo un trattamento bionutrizionale per patologie allergiche, l’uovo cotto (soprattutto quello sodo) deve essere usato solo quando si è sicuri che la soglia allergizzante sia abbastanza alta.

Uovo e patologie oncologiche

In patologie caratterizzate da una crescita tumultuosa e incontrollata di cellule, potrebbe sembrare controproducente un alimento come l’uovo, che veicola un grande stimolo vitale.

In realtà, la biologia e la fisiopatologia del cancro dimostrano, senza eccezioni, che la cellula tumorale è caratterizzata da una “falsa vitalità”. La duplicazione e l’aumento numerico non sono orientati nella direzione di una struttura organica funzionante, inserita armonicamente in un contesto generale, ma sono tanto più “disordinati”, quanto più il tumore è maligno. Se non arrestata nella sua crescita, la cellula tumorale sembra avere come unica direzione solo la morte: della massa tumorale stessa (per fenomeni di necrosi o di degenerazione) o dell’organismo intero.

Anche l’uovo, come già detto, è una cellula, ma il suo messaggio è armonico e “organizzato”. Esso è programmato dalla natura per il sostegno e la continuità della vita, in direzione opposta al finalismo suicida del cancro. Il suo stimolo vitale agirà in senso positivo sulle residue energie dell’organismo malato, aiutandolo a fronteggiare la terribile malattia da cui è affetto. Per sfruttare al massimo questa capacità “informativa”, nei malati oncologici è preferibile impiegare uova genuine, possibilmente fecondate, in modo da avere un messaggio preciso per lo sviluppo di cellule differenziate, ordinate e controllate nella loro velocità di crescita: il contrario di quanto avviene nel cancro.

Oltre a questa importantissima funzione energetica, l’uovo è molto utile nelle patologie oncologiche anche per il suo potere nutrizionale quantitativo. La sua ricchezza in micro- e macronutrienti si rivela indispensabile in pazienti il cui organismo è stressato dalla lotta contro la malattia e, spesso, dai gravi effetti collaterali delle attuali terapie del cancro.

Il contenuto proteico dell’albume è insostituibile nei casi di diminuzione dell’albumina plasmatica; il ferro contenuto nel tuorlo migliora i livelli dell’emoglobina e degli altri parametri del sangue ridotti dai farmaci chemioterapici; la colesterina sarà utile per riportare a valori normali il colesterolo ematico (quasi sempre ridotto nei malati di tumore), da cui dipendono la maggior parte degli ormoni, le sostanze implicate nella difesa immunitaria e tutti i processi riparativi della integrità cellulare compromessa.

Non ultime, vanno sottolineate le capacità dell’uovo di non mettere in difficoltà gli organi vitali, soprattutto fegato e rene (in questi casi già provati dalla malattia, se non direttamente compromessi), e la sua facilità di assunzione. Infatti, in molti casi di neoplasie oro-faringee ed esofagee, l’uovo crudo costituisce uno dei pochi alimenti ad alto potere nutritivo che il paziente riesce ad assumere per via naturale.

Uovo e carne

Negli organismi in accrescimento o negli anziani defedati (ma senza patologie o deficit della funzione renale), possono essere molto indicate la carne panata o altre preparazioni (come le polpette, i rollè di carne con uovo al centro, ecc.), che associano la proteina animale superiore con quella dell’uovo. In particolare, la carne panata ha un notevole grado di digeribilità, in quanto l’uovo esercita su di essa una predigestione ad opera di enzimi proteolitici presenti nell’albume.

Il risultato sarà di una maggiore morbidezza (gradita dagli anziani quando hanno problemi di masticazione o di digestione) e di un sapore esaltato dal fritto. Della stracciatella in brodo di carne si dirà nel relativo paragrafo, mentre l’associazione bresaola e uovo sodo non è generalmente consigliabile sia per il notevole impegno epatico e tiroideo (uovo sodo), sia per la grande quantità di scorie azotate che arrivano al rene dopo la metabolizzazione della bresaola.

Uovo e pesce

Per le caratteristiche nutrizionali di questi due alimenti, comporre dei pasti associando l’uovo al pesce è utile nei seguenti casi: a) se si vuole stimolare la tiroide senza aggravare la funzione renale; b) quando bisogna sostenere la vigilanza; c) per apportare una quota proteica significativa che non faccia aumentare la percentuale di radicali acidi nel sangue. Si potranno impiegare le tartine con cipolla (in funzione drenante), uovo sodo e uova di lombo. Ottime associazioni sono il pesce con la maionese o la sogliola panata (quest’ultima particolarmente gradita dai bambini, la cui appetenza è rivolta sempre verso alimenti che sollecitano la funzione epatica). Anche l’uovo sodo e il tonno hanno azione di stimolo sul metabolismo generale, a condizione di usare tonno di buona qualità.

Alcuni utilizzi dell’uovo

Uovo crudo o all’ostrica

Come per quasi tutti gli altri alimenti, il modo migliore di utilizzare l’uovo è sempre quello di consumarlo crudo, succhiandolo dopo aver praticato due buchi ai poli opposti del guscio. Poiché non tutti riescono ad assumerlo in questo modo, si può anche rompere in un cucchiaio grande, aggiungere alcune gocce di limone e ingerirlo.

Nei soggetti sani, l’uovo consumato crudo non pone problemi di digeribilità, non appesantisce la funzione epato-biliare, è molto meno allergizzante ed esprime al massimo grado tutta la sua potenzialità. Sarà di grande aiuto durante l’accrescimento, dopo le convalescenze, in caso di riduzione della libido maschile, nei pazienti oncologici, perfino negli anziani.

Solo i gastropatici sopportano meglio l’uovo alla coque, rispetto a quello crudo. Quest’ultimo può provocare qualche fastidio, poiché la parte albuminosa cruda irrita la parete gastrica già infiammata, creando una vera e propria pellicola impermeabile, quasi una “foderatura” dello stomaco, impedendo lo svuotamento rapido del contenuto acido. In altre situazioni, si può sfruttare positivamente questa capacità, per ridurre l’assorbimento immediato di alcool ed evitare la rapida ripercussione sul sistema nervoso e sulla vigilanza, per esempio: nei sommelier che devono degustare un numero elevato di vini diversi, oppure in chi non vuole essere annebbiato dagli alcolici, mantenendo attive l’attenzione e la vigilanza.

Uovo sbattuto

Pur avendo le stesse indicazioni e caratteristiche dell’uovo crudo, quello sbattuto è però controindicato nei diabetici, poiché lo zucchero aggiunto si somma ai glicidi dell’uovo stesso.

Si prepara facendo montare a neve l’albume, poi lo si riunisce al tuorlo, preventivamente montato con lo zucchero e lo si degusta.

Nei soggetti adulti che non gradiscono gli alimenti troppo dolci, è possibile aggiungere anche il caffè. Per montare l’albume bisogna utilizzare la comune frusta di cucina. Infatti, se si usasse il frullatore, in seguito alla elevata velocità di rotazione si determinerebbe il deterioramento di molte proteine nobili, si produrrebbe un certo riscaldamento, con relativa denaturazione proteica e, soprattutto, verrebbero inglobate particelle di aria che renderebbero più difficile la digestione.

Uovo alla coque

In questo caso si ha un addensamento e una coagulazione delle proteine dell’albume, le quali subiscono una minima denaturazione, di gran lunga inferiore rispetto a quella che si verifica nell’uovo sodo.

Priva degli zuccheri dell’uovo sbattuto, questa modalità di preparazione è simile per caratteristiche ed indicazioni a quella dell’uovo crudo, se si prescinde da un certo impoverimento nutrizionale dovuto alla cottura. Come si è detto, l’uovo alla coque risulta più facilmente digeribile nei soggetti con disturbi gastrici.

Si prepara mettendo l’uovo in un pentolino con acqua fredda, dopo aver praticato un piccolo foro in corrispondenza dell’estremità ottusa, in modo tale da mettere a nudo la sottostante membrana testacea. Quando la temperatura dell’acqua raggiunge un determinato livello, si verifica il rigonfiamento delle strutture interne dell’uovo, con formazione di una bolla esterna in corrispondenza del foro praticato. A questo punto si estrae l’uovo dall’acqua, si toglie una parte consistente di guscio, si rompe la bolla e, dopo l’aggiunta facoltativa di sale, l’uovo alla coque è pronto per essere consumato.

Uovo al piatto

L’uovo, privo di guscio, viene cotto, senza l’aggiunta di olio e sale, in un piatto asciutto posto su un pentolino contenente dell’acqua che bolle, incoperchiato con un altro piatto. Appena l’albume da trasparente diventa bianco, si spegne il fuoco e si attende il tempo necessario affinché il tuorlo abbia la consistenza che si desidera.

Il vantaggio di questa modalità di preparazione è quello di non provocare una denaturazione spinta, per cui i componenti dell’uovo restano per la maggior parte integri, essendo la cottura lenta e interrotta prima che vengano raggiunte alte temperature. Si avrà, comunque, un addensamento sufficiente a rendere accettabile questo piatto anche a chi, come i bambini, abbia qualche difficoltà ad assumere l’uovo poco cotto. La digeribilità è ottimale, poiché non si ha l’associazione di grassi diversi, dal momento che non si usa nemmeno l’olio di oliva. Alla fine si aggiunge non il sale, ma un cucchiaino di Parmigiano Reggiano e, quando richiesto, una punta di peperoncino.

Uovo in camicia o “affogato”

Si rompe l’uovo in un cucchiaio o in un mestolo e si lo immerge nell’acqua in piena bollitura, nella quale si fa cadere qualche goccia di limone o aceto, allo scopo di far coagulare in modo uniforme l’albume.

Dopo qualche secondo si verifica la formazione della classica “camicia”, costituita dalla flocculazione della parte più esterna dell’albume. A questo punto si toglie l’uovo dall’acqua con una schiumarola o ragno e lo si depone in un piatto per essere consumato, aggiungendo eventualmente un po’ di Parmigiano Reggiano. Normalmente il tuorlo resta semiliquido, conservando integre le sue proprietà nutrizionali, mentre l’albume subisce i danni dell’alta temperatura, diventando in qualche modo “peggiore” rispetto a quello dell’uovo alla coque o al piatto. Pur avendo una preparazione simile a quella dell’uovo sodo, l’uovo in camicia è meno compromesso dal punto di vista nutrizionale. Nel primo, infatti, la presenza del guscio calcareo compatto impedisce la perdita in soluzione dei componenti più esterni e quindi più danneggiati, come molte proteine solforate. Il risultato, come vedremo, sarà un alimento di “difficile” gestione per i metabolismi organici.

Uovo strapazzato

In una padella si farà riscaldare un fondo di olio extravergine d’oliva, evitando di arrivare al punto di fumo, che renderebbe i lipidi dell’olio saturi e indurrebbe la formazione di acroleina.

Quando sarà il momento, si romperà l’uovo direttamente nella padella e, appena esso inizierà a coagulare, lo si straccerà con l’aiuto di una forchetta o di un mestolo di legno da cucina. Si spegnerà immediatamente il fuoco e si salerà quanto basta con sale marino fino.

La modalità di preparazione renderà l’uovo strapazzato più digeribile rispetto a quello fritto o al tegamino, in quanto la cottura rapida eviterà la denaturazione della componente proteica. L’uovo strapazzato sarà utile nelle astenie, in soggetti debilitati, nelle patologie renali e in malati oncologici in trattamento chemioterapico, che rifiutino la carne, ma anche nei casi in cui necessiti sollecitare gradualmente la funzione del fegato e della colecisti. Altre indicazioni saranno le fasi di accrescimento adolescenziale maschile e femminile, la steatosi epatica, le diete dimagranti e tutte le ipofunzioni epato-biliari, ma anche l’alimentazione geriatrica, lo stimolo della libido ed i casi di anemia sideropenica con ipoproteinemia. Unica controindicazione è costituita dalle reattività allergiche, dalla calcolosi biliare e dalle colecistiti in fase acuta.

Uovo fritto o al tegamino

Si apriranno e si adageranno due uova intere a persona in una padella, quando un fondo di olio extravergine d’oliva è già al massimo della temperatura, ma sempre prima del punto di fumo.

Si ridurrà la fiamma e, se si vuole rendere la cottura più rapida ed uniforme, si potrà coprire ermeticamente la padella con un coperchio per due o tre minuti. In alternativa, tolto il coperchio, si potrà raccogliere l’olio bollente con un cucchiaio, versandolo sul tuorlo centrale finché non si otterrà una velatura bianca uniforme. L’uovo fritto o al tegamino avrà uno spiccato tropismo epato-renale, che lo renderà adatto negli adolescenti in accrescimento, nelle anemie sideropeniche, nelle ipoproteinemie. L’assenza di scorie azotate rende la preparazione idonea nei pazienti affetti da patologie renali, che possano tollerare un’energica sollecitazione epatica, ma anche nei diabetici, nella steatosi epatica e in tutte le ipofunzioni del fegato, oltre che nelle diete dimagranti.

Frittata

Si utilizzeranno mediamente due uova a persona. Si apriranno in una ciotola e si sbatteranno con una forchetta o con una frusta.

Nella modalità più semplice la frittata prevede solo le uova sbattute ed immerse nell’olio extravergine d’oliva bollente, salando alla fine. In realtà, nella maggior parte dei casi, essa si arricchirà con un cucchiaio di Parmigiano Reggiano, un ciuffo di prezzemolo fresco tritato a mano e un goccio di latte. Una volta ottenuto un composto omogeneo, si verserà totalmente in una padella con un fondo d’olio extravergine d’oliva caldo. Si farà cuocere a fiamma non troppo vivace facendo attenzione a non bruciarla. Per girare la frittata si può ricorrere all’aiuto di un piatto, il quale sarà posto sulla padella come se fosse un coperchio e, con un gesto rapido, la si capovolgerà. In questo modo, ci si ritroverà con la frittata sul piatto e sarà semplice farla scivolare nuovamente in padella per consentire la cottura anche dall’altro lato. Verso fine cottura si aggiungerà un pizzico di sale marino fino. Per le proprietà intrinseche dell’uovo e degli altri eventuali componenti, ma anche per la modalità di cottura in olio bollente, la frittata costituisce una preparazione nutrizionale di stimolo della funzione epato-biliare e ad elevato valore energetico. Nessuno dei componenti disturba la funzione renale, che potrà essere ulteriormente agevolata con l’aggiunta della cipolla, per cui l’indicazione elettiva sarà riservata agli organismi in accrescimento, agli sportivi, nella magrezza costituzionale con astenia ed ipoproteinemia, ma anche nei pazienti renali che possano tollerare lo stimolo epatico. Controindicata nelle allergie, nelle patologie organiche del fegato, nella calcolosi biliare, nella gastrite ipersecretiva, nelle pancreatiti.

Uovo sodo

Riempito un pentolino d’acqua fredda, s’immergerà l’uovo intero con tutto il guscio. Appena inizia l’ebollizione, si ridurrà la fiamma e si proseguirà la cottura per circa nove minuti.

Spento il fuoco, si immergerà l’uovo in acqua fredda, al fine di bloccarne la cottura ed evitare la formazione di solfuri tossici per il fegato, evidenziati dalla comparsa di macchie verdastre. A preparazione ultimata, l’uovo si priverà del guscio e, a seconda delle finalità terapeutiche, si potrà condire con sale marino fino, un’ombra di pepe, o salse di varia natura.

Malgrado l’impegno epatico notevole, l’uovo sodo è urile nel trattamento bionutrizionale degli ipotiroidismi e nelle diete dimagranti, poiché zolfo, iodio e ferro stimolano intensamente la tiroide. Per il significativo apporto anche di natura proteica, l’uovo sodo è indicato nell’ipogonadismo maschile o in soggetti debilitati o astenici, purché non abbiano una compromissione della funzione epato-biliare. Fatte salve le numerose controindicazioni, la preparazione sarà adatta nelle patologie renali e per stimolare la vigilanza neuro-psichica. Essa sarà di disturbo nelle patologie organiche epato-biliari, nelle ipercolesterolemie, nella stipsi, nell’ipereccitabilità neurologica e nell’ipertiroidismo.

In conclusione, l’uovo sodo è molto utile in alcune precise situazioni cliniche, ma è anche un alimento “difficile” per il metabolismo organico, per cui va impiegato con attenzione, dopo una valutazione accurata delle condizioni generali del paziente.

Stracciatella

Per questa preparazione si utilizzerà il brodo di carne mettendo a cuocere la punta di petto del manzo, o altre tipologie di carne, a seconda dell’impiego terapeutico richiesto. Si inizierà la cottura in acqua fredda con mezza cipolla, una costa di sedano e una carota di media grandezza, salando con sale marino solo a fine cottura.

Quest’ultima si protrarrà per circa due ore, in modo da sciogliere la componente albuminosa della carne, che verrà incorporata nel brodo, mentre le scorie saliranno in superficie e potranno essere facilmente eliminate sotto forma di schiuma. Si sbatterà un uovo in una ciotola, aggiungendo un cucchiaio da minestra di Parmigiano Reggiano, un cucchiaio di succo di limone ed un ciuffo di prezzemolo tritato a mano o con un coltello di ceramica. Quando il brodo è in ebollizione si spegnerà il fuoco, si verserà l’uovo nella casseruola e si straccerà con una frusta da cucina per circa un minuto. Solo se necessario si aggiungerà ancora del sale marino fino.

La stracciatella potrà avere molteplici impieghi, soprattutto in soggetti che si possano giovare di un apporto di liquidi, con un reintegro di proteine e di sali minerali. Per esempio, nell’alimentazione geriatrica, in soggetti con difficoltà di masticazione o deglutizione, o in pazienti astenici e debilitati durante trattamenti chemioterapici, ma anche quando necessiti un apporto proteico significativo, come dopo un impegno sportivo agonistico o in soggetti che pratichino body building. Le controindicazioni riguardano le condizioni cliniche di reattività allergica, per la presenza dell’uovo e del Parmigiano Reggiano, o le patologie renali severe, per le scorie azotate presenti nel brodo di carne.

Uovo e calcio

Una soluzione per rendere biodisponibile la grande quantità di calcio contenuta nella parte calcarea del guscio è quella di mettere un uovo intero nel succo di limone.

In pratica si utilizza un recipiente nel quale si versa succo di limone in una quantità sufficiente a sommergere completamente l’uovo, poi si lascia riposare per qualche giorno, finché il guscio non si scioglie completamente. Alla fine si toglie l’uovo, che resta integro all’interno della membrana testacea, e si consuma questo succo di limone ricco di calcio, nella quantità di due-tre cucchiai al giorno.

Maionese

Nella modalità più semplice, veloce ed efficace di preparazione, in un contenitore si metteranno due o tre tuorli d’uovo fresco e di provenienza certificata, un pizzico di sale marino fino e qualche goccia di limone.

Si farà scendere a filo dell’olio extravergine (circa mezzo litro e di ottima qualità) e si accenderà il mixer. In pochi istanti si creerà la maionese. Alla fine si aggiungerà mezzo cucchiaio da minestra di aceto riscaldato, il quale sarà incorporato alla maionese con un mestolo di legno al fine di evitare che questa “impazzisca”, ovvero si scomponga in tanti pezzi.

Esiste anche la possibilità di preparazione manuale della maionese. In questo caso: sbattere in una ciotola il tuorlo di un uovo, al quale si aggiungeranno molto lentamente dei cucchiai di olio extravergine d’oliva, avendo l’accortezza di far amalgamare completamente il cucchiaio precedente, prima di aggiungere quello successivo. Il senso di rotazione dovrà essere rispettato dall’inizio alla fine. Solo quando l’emulsione si sarà addensata e diventerà consistente, si aggiungeranno dei cucchiaini colmi di succo di limone (per un tuorlo d’uovo, la quantità sufficiente corrisponde ad un cucchiaio da minestra raso). Si completerà la preparazione, salando quanto basta.

Nella pratica bionutrizionale, la maionese viene impiegata per rendere più nutrienti alimenti molto impoveriti da alcuni metodi di cottura, come la bollitura, reintegrandone in parte il potere nutrizionale. Infatti, la carne lessa o le verdure lesse, se arricchite con maionese, saranno digerite ed assimilate con maggiore facilità e il meteorismo provocato, per esempio, dai carciofi lessi si ridurrà notevolmente. Anche l’aggiunta di maionese alle patate fritte contribuirà a facilitarne la digeribilità gastrica e ad aumentare la capacità contrattile della colecisti. Utile negli adolescenti in accrescimento o in età geriatrica, in gravidanza e in allattamento, nei pazienti oncologici o renali, la maionese sarà controindicata solamente nei soggetti allergici.

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Polenta

Polenta

Caratteristiche generali

La coltivazione del mais ha tradizioni millenarie, in particolare nel continente americano, dov’è ancora frequentemente utilizzato nell’alimentazione quotidiana. La varietà predominante oggi è quella gialla, ma ne esistono numerose altre con chicchi di colori differenti, in rapporto alla presenza di pigmenti diversi nello strato superficiale. Quest’ultimo contiene carotenoidi e flavonoidi che, al variare di concentrazione, possono far cambiare colorazione ai vari tipi di mais. Ad esempio, esiste una varietà la cui cuticola è rosso-bordeaux, molto scura per la presenza di antociani.

Dal punto di vista nutrizionale, il mais contiene soprattutto carboidrati complessi, acidi grassi polinsaturi, quasi tutti gli aminoacidi essenziali e vitamina E. Il suo contenuto proteico è abbastanza ridotto (in media 9 g %, rispetto ai 12-14 g % del frumento), ragion per cui risulta ridotto l’impegno della funzionalità renale, tenendo anche conto dell’assenza del glutine, che rende utilizzabili tutte le preparazioni realizzate con farina di mais, dalla pasta alla polenta, da parte dei soggetti celiaci. Per quanto riguarda la rilevante quota di carboidrati, va detto che essa non impegna la funzione endocrina del pancreas più di quanto non avvenga con altri cereali.

La vitamina E, di cui il mais è ricco, fa parte del gruppo dei “tocoferoli” che sono dei potenti antiossidanti. La loro carenza determina la necessità di un maggiore consumo di ossigeno da parte del muscolo striato e una più veloce degradazione dei preziosi grassi insaturi. La presenza di questi antiossidanti riduce nel sangue i radicali dell’ossigeno e di altre scorie nocive, aiutando il lavoro di metabolizzazione da parte del fegato. Quest’ultimo, quindi, può inviare ai reni un sangue meno ricco di molecole tossiche, fatto che facilita notevolmente la filtrazione renale. L’unico limite nei casi di gravi patologie dei reni è la grande quantità di fosforo nel chicco intero (256 mg %), peraltro notevolmente ridotto nella farina (99 mg %).

Fra i vari componenti del mais, oltre al triptofano, è significativa la presenza di niacina (vitamina PP), la quale diventa biodisponibile solamente se il chicco di mais viene sottoposto ad un innalzamento della temperatura superiore ad 80°C, in presenza di calce, secondo un procedimento ben noto alle antiche popolazioni del Centro America. La niacina è un componente determinante nella formazione delle molecole di NAD (nicotinamide adenin dinucleotide) e NADP (nicotinamide adenin dinucleotide fosfato). Pur non essendo una vitamina essenziale, in quanto può essere sintetizzata dall’organismo a partire dal triptofano stesso, essa interviene a livello dei metabolismi ossidativi. In altri capitoli del libro, in particolare quello dedicato alla pasta, si segnala il fatto che il triptofano è coinvolto anche nei meccanismi di assorbimento degli zuccheri da parte del cervello e di altri tessuti, lavorando sinergicamente con l’insulina. Questo potrebbe essere il motivo per cui alcune patologie degenerative del sistema nervoso centrale migliorano sensibilmente impiegando alimenti ricchi di niacina e triptofano, contemporaneamente ad uno stimolo della secrezione di insulina. La niacina, infine, è una sostanza che possiede azione antiemorragica ed attività fibrinolitica eparino-simile. Come spesso succede negli alimenti, si tratta di due funzioni completamente diverse associate armonicamente nella stessa sostanza.

Non trascurabile è il contenuto in ferro e in potassio del mais, mentre il calcio è presente in quantità modesta rispetto ad altri alimenti. Tra i micronutrienti, interessante è la percentuale di magnesio, zinco e, soprattutto, selenio. Quest’ultimo, antiossidante con riconosciute proprietà antitumorali, è presente nel fegato di quasi tutti i pesci e nel rene dei mammiferi. Gli alimenti di origine vegetale che contengono il selenio in quantità significativa sono pochi, fra questi alcuni legumi, come i fagioli (16 microg %), le lenticchie (10 microg %) e il mais (15 microg %).

Una delle problematiche che può sollevare qualche perplessità circa l’impiego della farina di mais è costituita dall’immissione sul mercato alimentare internazionale degli O.G.M. (organismi geneticamente modificati), cioè gli alimenti cosiddetti “trans-genici”. Il mais, infatti, è stato uno dei primi vegetali sottoposto a studi ed esperimenti di questo tipo da parte delle grosse aziende alimentari e prodotto con queste tecniche. Quello che attualmente si trova in commercio è in gran parte, se non tutto, geneticamente modificato.

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Olio

Olio

Olio, olive e funzioni organiche

Gli originari centri di coltivazione dell’olivo sono stati localizzati in una vasta area molto più a sud della Grecia, tra il massiccio roccioso del Pamir e il Turkestan. Fu sicuramente la sapiente esperienza agricola dei Siriaci e dei Palestinesi a trasformare gli esuli cespugli spinosi, quali erano i primi olivastri spontanei, nei maestosi ulivi carichi di bacche. Dai desolati altipiani dell’Asia Minore, dove apparve spontaneo 5000 anni fa, l’olivo si diffuse in tutto il bacino mediterraneo. Secondo Plinio, la sua coltivazione fu introdotta nella nostra penisola dai Greci intorno al V secolo a. c. ma numerosi reperti archeologici testimoniano come almeno due secoli prima esso fosse già conosciuto dagli Etruschi, i quali utilizzavano l’olio per farne unguenti e profumi o come combustibile per le lucerne.

In ogni caso, l’olio di oliva è parte integrante della tradizione alimentare del bacino del Mediterraneo (che costituisce ancora oggi l’area di maggiore produzione e consumo). Il suo utilizzo ha valore gastronomico e nutrizionale, ma anche affettivo e sociale, essendo parte integrante della storia e della cultura dei popoli mediterranei.

Negli anni ‘50 il Prof. Keys, con il suo famoso “Studio dei sette paesi”, dimostrò come in alcune popolazioni del bacino del Mediterraneo il tasso di mortalità per malattie cardiache rappresentava solo il 10% di quello statunitense. Merito di ciò uno stile di vita sano e soprattutto un’alimentazione equilibrata, ricca in cereali, frutta, verdure e con pochi grassi di origine animale. Ricerche successive hanno portato alla conferma di questi risultati e alla riscoperta della dieta Mediterranea. Questa dieta, pur nella diversità delle culture dei vari paesi del Mediterraneo, ha elementi comuni: cereali, riso, frutta fresca e secca, verdure, latticini, pesce e olio extravergine d’oliva rappresentano la base in tutti i diversi tipi di alimentazione.

All’interno della dieta Mediterranea, l’olio extra vergine di oliva ha dimostrato una superiorità alimentare rispetto a tutti gli altri grassi, vegetali ed animali. Tale superiorità è legata all’elevata percentuale in acido oleico, alla modesta presenza di acidi grassi saturi e alla notevole presenza di antiossidanti naturali.

L’olio extravergine di oliva e le patologie cardiovascolari

Il colesterolo è una sostanza grassa che si trova in tutti gli organismi animali. Grassi e colesterolo per essere trasportati attraverso il flusso sanguigno, si uniscono alle proteine formando le lipoproteine. Le lipoproteine circolanti nel sangue sono di due tipi:
LDL, lipoproteine a bassa densità dette “colesterolo cattivo”; HDL, lipoproteine ad alta densità, dette “colesterolo buono”. Le LDL per potersi sedimentare sulle pareti dei vasi e causare l’arteriosclerosi, devono aver subito un processo di ossidazione. Una volta ossidato, il colesterolo può provocare lesioni ai vasi e alterarne il funzionamento rendendoli meno elastici e ostruendone il lume. Pertanto, qualsiasi fattore che ostacola la loro ossidazione ritarda l’insorgenza delle patologie vascolari. L’olio extravergine di oliva riduce i fattori di rischio influenzando la qualità dell’LDL (nel senso che ne contrasta l’ossidazione) e riducendone la quantità. Nello stesso tempo contribuisce a potenziare
l’HDL, che ha una funzione di pulizia delle arterie.

L’azione salutistica dei biofenoli dell’olio d’oliva

In numerose pubblicazioni scientifiche sono stati riportati gli effetti dei composti fenolici dell’olio d’oliva sulla salute umana, in particolare è stato enfatizzato il rapporto tra il consumo di olio extravergine d’oliva e la riduzione delle forme tumorali. I composti più studiati sono stati l’idrossitirosolo e l’oleuropeina. Mentre al primo è stato riconosciuto il potere di inibire l’ossidazione delle LDL in vitro, nonché di ridurre il rischio di malattie coronariche, aterosclerotiche e più in generale i processi ossidativi, al secondo è stata attribuita da alcuni scienziati una capacità antitumorale con azione in diverse fasi del processo cancerogeno.

Oltre all’azione preventiva sulle patologie ora citate, del tutto recentemente è stata evidenziata un’attività farmacologica dell’oleocantale, derivato dell’oleuropeina, responsabile della sensazione piccante al gusto, simile a quella determinata dall’assunzione di soluzioni di un farmaco antinfiammatorio quale l’ibuprofene. Partendo da questa constatazione, alcuni ricercatori hanno evidenziato che, oltre a determinare questa sensazione, l’oleocantale, come l’ibuprofene svolgono la medesima azione inibente e dose dipendente, sulle ciclossigenasi 1 e 2 (COX-1, COX-2 ) cioè una potente azione analgesica e antiinfiammatoria.

Altre importanti azioni benefiche dell’olio extravergine dì oliva

Apparato digerente: migliora la sua funzionalità, avendo positivi effetti per quanto riguarda la funzionalità gastrica e pancreatica.

Sistema endocrino: è stato dimostrato che la dieta mediterranea, ricca di tale alimento, ha un’importante azione preventiva nel controllo del diabete.

Apparato scheletrico: favorisce l’assorbimento del calcio e la mineralizzazione, il che nel fa un alimento fortemente consigliato nell’alimentazione dell’infanzia, in gravidanza e in menopausa.

Invecchiamento: previene l’invecchiamento cellulare grazie alla sua azione protettiva nei confronti delle membrane cellulari e migliora la percezione cognitiva (invecchiamento cerebrale) nelle persone anziane.

Alcuni utilizzi dell’olio extravergine d’oliva

A crudo

L’olio extravergine d’oliva si caratterizza per la sua fragranza e il suo sapore, particolarmente gradito al palato. Inoltre, la sua digeribilità è elevatissima poiché stimola gli enzimi digestivi e protegge le mucose dello stomaco, in virtù di azioni locali emollienti, protettive ed antinfiammatorie. Contrasta l’ipersecrezione acida e l’ipermotilità gastrica e facilita la digestione agevolando la produzione dei sali biliari e delle lipasi pancreatiche.

Esso è particolarmente utile nell’alimentazione degli anziani, soprattutto se affetti da stitichezza e per il ruolo che svolge nell’assorbimento delle vitamine liposolubili.

Il soffritto e il fritto

Sopportando senza bruciare la temperatura richiesta da questa cottura (ossia senza raggiungere il “punto di fumo”), l’olio extravergine d’oliva costituisce uno dei migliori lipidi per soffriggere e friggere. Anche dopo un trattamento termico prolungato, esso non modifica, se non in minima parte, la propria composizione in acidi grassi. Al contrario, gli oli vegetali “generici”, durante la cottura, vanno incontro alla formazione di perossidi e di polimeri, che possono provocare lesioni al fegato, al rene, allo stomaco e all’apparato cardiovascolare.

Per friggere occorre tener presente alcuni semplici accorgimenti: a) la fiamma deve essere sostenuta, ma facendo sempre attenzione a non superare il punto di fumo; b) per quanto l’olio extravergine d’oliva si presti a poter essere riutilizzato, un minimo di pratica con tale preziosa modalità di cottura degli alimenti insegnerà a riconoscere quando il mezzo lipidico è diventato “esausto” ; c) anche nelle friggitrici la riutilizzazione è preferibile effettuarla dopo averlo filtrato ed eliminato i residui alimentari della frittura precedente; d) infine, il livello dell’olio nella casseruola deve essere tale da far “galleggiare” liberi i singoli pezzi dell’alimento.

Le olive da tavola, funzioni bionutrizionali

Le olive da tavola, nelle due varietà principali, quella verde e quella scura, rappresentano uno degli alimenti più ricchi di lipidi vegetali insaturi. L’oliva verde è più ricca di vitamina E e K, rispetto a quella nera che, invece, contiene una maggiore quantità di polifenoli e di grassi insaturi. Entrambe dispongono di una quota proteica e di numerosi sali minerali, quali il fosforo, lo zolfo, il potassio, il magnesio, il calcio, il cloro, il ferro ed il rame. A proposito di quest’ultimo importante oligoelemento, che interviene come catalizzatore in svariate reazioni biochimiche dell’organismo, va detto che l’oliva, insieme al pesce, costituisce uno dei pochi alimenti che lo contiene in una forma molto biodisponibile.

Per il ridotto contenuto di carboidrati, l’oliva è molto indicata nei pazienti diabetici. Blandamente lassativa, essa è utile nelle insufficienze epatiche e biliari, poiché favorisce la secrezione dei sali biliari, accelerando il transito intestinale negli individui sofferenti di stipsi. Inoltre, stimola i processi digestivi, per cui è adatta in caso d’inappetenza e nelle ipocloridrie gastriche. Per la sua completezza nutrizionale, un pasto, realizzato unicamente con 100 g di pane e olio e 150 g di olive è sufficiente a coprire tutte le esigenze di un organismo adulto.

In virtù dei suoi nutrienti, l’oliva si può considerare uno degli alimenti dotati di effetti terapeutici nelle ipercolesterolemie e nelle malattie caratterizzate da alterazioni del metabolismo lipidico. Quest’azione terapeutica la rende indicata nei trattamenti bionutrizionali dell’arteriosclerosi, dell’ipertensione arteriosa e dei disturbi del microcircolo per aumento della viscosità ematica. Per queste proprietà, e per l’apporto di vitamina E in funzione antiossidante, l’oliva contribuisce a migliorare l’irrorazione del circolo cerebrale, nei pazienti affetti da patologie neuro-psichiche.

Effetti antiossidanti delle olive

Esistono diverse ricerche sui fenoli contenuti nelle olive. L’azione antiossidante di questi micronutrienti protegge l’olio di oliva dall’irrancidimento, permettendogli così di mantenere le sue proprietà organolettiche. I fenoli sono sostanze fotosensibili, per cui sono protetti all’interno della buccia verde o nera dell’oliva.

Non così per l’olio, che deve essere conservato al buio e in recipienti di vetro scuro. Lo scopo delle ricerche era di verificare se i fenoli possiedono azione antiossidante anche nel corpo umano, poiché essi sono in grado di mantenere questa proprietà sia in ambiente lipidico, sia in ambiente acquoso.

In una di queste ricerche, compiuta somministrando costanti quantità di olio di oliva e di olive da tavola, con diverso contenuto di fenoli, si è dimostrata un’effettiva correlazione tra i fenoli ingeriti e quelli espulsi attraverso le urine, a dimostrazione del loro effettivo assorbimento e del ruolo svolto nella prevenzione delle malattie cardiovascolari e di tutte le malattie degenerative, comprese quelle del sistema nervoso centrale.

Esempi di associazioni

Nei bambini diabetici si potrà proporre pane e olive (nella quantità, rispettivamente, di 30 e 60 g), da consumarsi come merenda mattutina o pomeridiana, quando la discesa dei valori glicemici del sangue potrebbe mettere in difficoltà il metabolismo energetico generale del paziente diabetico. Invece, un pasto da impiegare in uno sportivo in difficoltà energetica e con un depauperamento organico complicato da tossine endogene (prodotte dal lavoro muscolare), sarà il seguente: 80 g di tagliatelle condite con pomodori pachino, olive, origano e olio extravergine. Poi circa 150 g di scaloppina al limone, una indivia riccia condita con olio extravergine d’olive, olive verdi o nere e capperi e una pera ben matura. La composizione del pasto e la preparazione degli alimenti avranno lo scopo di ottenere una serie di effetti nutrizionali e terapeutici. In primo luogo, facilitare il drenaggio epatico per opera della pasta, dei pomodorini, della farina impiegata per preparare la scaloppina e del limone. Tale azione verrà agevolata dall’apporto in fruttosio, sali, iodio ed acqua di vegetazione della verdura cruda. Il ferro, contenuto nella carne, nel prezzemolo e nell’indivia riccia, velocizzerà l’assorbimento e l’utilizzazione degli altri nutrienti, mentre lo iodio dei capperi e della pera aumenteranno l’attività della tiroide. Infine, l’olio extravergine e le olive svolgeranno azione antiossidante e reintegreranno la riserva lipidica. L’insieme del pasto fornirà una quantità sufficiente ed equilibrata di elettroliti (necessari per compensarne le perdite avvenute tramite la sudorazione), senza disturbare gli organi vitali nel loro lavoro di disintossicazione e di ristrutturazione organica.

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Pesce

Pesce

Caratteristiche generali

La grande varietà di forme e dimensioni dei prodotti ittici richiede una distinzione relativa ai molteplici impieghi nutrizionali delle varie preparazioni descritte nei singoli paragrafi di questo capitolo. Prima di tutto vengono riportati i caratteri più importanti da prendere in esame per valutare lo stato di freschezza della maggior parte dei pesci:

a) La superficie del tegumento nel prodotto fresco presenta una lucentezza particolare, perfino brillante in quelli a squama grossa. Con il passare del tempo essa tende ad attenuarsi, specie se in condizioni climatiche secche, per cui il pesce viene irrorato per essere “rinfrescato”. E’ preferibile utilizzare acqua pulita con aggiunta di cloruro di sodio nella concentrazione di circa il 9 %, evitando quella di mare, in particolare se attinta in zone nelle quali l’igiene non è garantita. Con la prima, infatti, saranno conservati più a lungo i caratteri esteriori propri del pesce, mentre con la seconda si rischia di facilitare ulteriormente lo sviluppo di germi sulla sua superficie.

b) Particolare attenzione va rivolta agli occhi. Nel pesce fresco la pupilla si presenta molto dilatata e circondata da un’iride più ridotta, in genere color dorato o argentato, sempre brillante. Inoltre l’occhio è generalmente sporgente, cioè convesso, mentre sarà concavo, infossato o appiattito nel pesce avariato.

c) Le branchie si presenteranno di colore roseo-rosso ed umide, mentre diventeranno secche e di color mattone con il passare dei giorni. In genere, quanto più il colore sfuma verso il marrone, tanto più si è certi dell’esistenza di trasformazioni dei componenti ematici. Il freddo tende ad attenuare questa trasformazione dal rosso verso il mattone, ed è il motivo per cui il pesce fresco andrebbe sempre conservato nel ghiaccio o congelato il prima possibile.

d) La consistenza della carne dipenderà dallo spessore e dalla compattezza del tessuto muscolare ed interstiziale. Essa si presenterà soda alla palpazione nel pesce fresco, specie se di grossa taglia, e molle o addirittura flaccida, in quello avariato.

e) Infine, per quanto riguarda l’odore, il pesce fresco non ne ha di particolari, se non quelli dell’ambiente in cui viveva, ad esempio di mare o di alghe, se pescato in mare aperto. Dopo circa 24 ore, compare il caratteristico ed intenso odore di pesce, all’inizio in modo tenue e poi sempre più marcato e stabile per qualche giorno. In presenza di odori diversi, dal dolciastro, al forte, all’ammoniacale, si può dire che il prodotto non è più commestibile.

Pesce crudo o cotto

Se è vero che il massimo potere nutrizionale dei prodotti ittici viene sfruttato con il loro impiego a crudo, come avviene in molte preparazioni della cucina orientale, è anche vero che bisognerebbe avere la massima garanzia di freschezza e il prodotto deve essere trattato in un abbattitore di temperatura prima di poter essere consumato.

La cottura, invece, rende il pesce più gradevole al gusto e, di solito, più digeribile, ma può diminuirne il valore nutrizionale, poiché i vari componenti possono venire persi o distrutti in percentuale variabile. La biodisponibilità dei vari nutrienti non dipende solamente dalla loro resistenza all’acidità, dalla temperatura e dal tempo di cottura, ma anche dalla porzione dell’alimento in cui sono contenuti in maggior concentrazione. Per esempio, il fegato di molte specie di pesci, come il merluzzo, è ricchissimo di vitamina A, mentre le altre vitamine ed i sali minerali sono più concentrati nella muscolatura rossa rispetto a quella bianca. La perdita di un nutriente dipende dal suo grado di solubilità in acqua, mentre la resistenza alla cottura è caratteristica delle singole sostanze. I sali minerali, i lipidi, i carboidrati, le proteine e la vitamina K sono generalmente stabili, ma le altre vitamine sono più o meno instabili, soprattutto l’acido ascorbico e la tiamina. La labilità della vitamina C ha scarsa importanza, considerando la piccolissima quantità contenuta nel pesce crudo. Diverso, invece, il discorso per la tiamina. Questa vitamina è distrutta immediatamente dal calore, dagli alcali e dall’enzima tiaminasi, contenuto principalmente nel pesce di acqua dolce e, occasionalmente, in diverse specie marine. Essendo idrosolubile, essa può venire persa nelle procedure di lavaggio, diluirsi nell’acqua di cottura, o diminuire dell’80 % durante la preparazione del pesce inscatolato, mentre può essere conservata durante le preparazioni alimentari della cucina casalinga. In generale, per sfruttare al massimo il potere nutrizionale dei prodotti ittici è necessario: a) che il tempo di cottura sia ridotto al minimo; b) che i liquidi di cottura siano fatti riassorbire; c) che il tempo di conservazione dell’alimento cotto sia breve; d) che non vengano aggiunte sostanze alcaline; e) che siano consumate sia la muscolatura bianca che quella rossa; f) infine, che i piatti di pesce non siano riscaldati, o lo siano per il minor tempo possibile.

Bisogna sempre tener conto del fatto che la perdita di sali solubili, come sodio e cloro, ma anche magnesio, potassio e calcio, è massima con la bollitura, elevata con la cottura arrosto e trascurabile con la frittura.

Prodotti ittici di acquicoltura

Anche se l’ideale sarebbe quello di consumare sempre i prodotti ittici freschi e pescati nel loro habitat naturale, il loro costo e la ridotta disponibilità commerciale rendono necessarie alcune brevi informazioni riguardanti i pesci di allevamento. L’acquicoltura è da sempre conosciuta in Oriente. In Cina, già 4000 anni fa, era consuetudine effettuare la coltura della carpa. L’acquicoltura moderna, invece, negli ultimi decenni è diventata una pratica in fortissimo aumento. A volte si alleva una sola specie, altre volte più specie che già in natura condividono lo stesso habitat. Generalmente, però, sono molto più diffuse le monocolture in modo da evitare la contemporanea presenza di predatori e di organismi rivali. Altre volte si aggiunge una seconda specie ittica, con lo scopo di controllare il numero dei piccoli della specie principale.

Indipendentemente dal tipo di acquicoltura, è molto importante determinare se l’acqua di approvvigionamento sia provvista dei requisiti biologici richiesti. Nei bacini dove si utilizza l’alimentazione artificiale, i fattori limitanti sono generalmente: l’impoverimento del contenuto di ossigeno, l’auto-inquinamento con i prodotti di rifiuto e, soprattutto, l’ammoniaca. Un altro grosso rischio per l’idoneità di un sito è la contaminazione delle fonti di acqua da parte di metalli pesanti e prodotti petroliferi.

Per i pesci valgono le stesse considerazioni fatte per gli altri esseri viventi. In altre parole, la “salute” del pesce, così come quella dell’uomo, dipende molto dal modo con cui si è alimentato. E’ ormai risaputo che le proteine animali vengono utilizzate dai pesci sia per finalità plastiche che energetiche. In particolare, le specie acquatiche carnivore si sono ben adattate ad utilizzare alimenti costituiti anche da sole proteine, per far fronte alle loro richieste energetiche. Una siffatta alimentazione provoca, però, l’eliminazione di considerevoli quantità di azoto nell’acqua. Per tamponare questa causa importante di inquinamento delle acque di coltura, molti ricercatori hanno provato a ridurre il livello proteico dell’alimento, incrementando il contenuto di lipidi o di carboidrati. Questo è uno dei motivi per cui, a volte, il pesce di acquicoltura ha un tasso lipidico superiore rispetto alla stessa specie cresciuta nell’habitat naturale.

Quando si è costretti ad acquistare un pesce di allevamento, è necessario prestare maggior attenzione alla sua provenienza, oggi certificata per Legge, e tener presenti tutti quei criteri di integrità e di freschezza elencati all’inizio del paragrafo.

Pesci

Acciughe, bianchetti e sardine – Definita anche sarda, la sardina è il pesce azzurro per antonomasia del Mediterraneo e le sue carni sono tenere e gustose. Le larve, ancora più apprezzate della sardina stessa, vengono denominate bianchetti o giunchetti. In questo pesce sono presenti notevoli quantità di proteine ad elevato valore biologico, nonché sali minerali, soprattutto potassio, iodio, calcio, ferro e fosforo.

Simile alla sardina, ma di forma più allungata, anche l’acciuga rientra nella categoria del pesce azzurro e si nutre di crostacei e/o di pesci. Una caratteristica comune a sarde ed acciughe consiste nel fatto che le scaglie si staccano facilmente già durante l’operazione di pesca. Se questo non avviene, diventa molto dubbio il reale stato di freschezza del prodotto. Dal punto di vista nutrizionale, l’acciuga si distingue dagli altri pesci per il suo contenuto in calcio, ferro, iodio, zinco, proteine e vitamina A.

Cefalo – Chiamato anche “muggine”, il cefalo è presente lungo le coste degli oceani Indiano, Pacifico e Atlantico. In Europa si trova dalla foce della Loira fino al Mar Caspio, nonché nelle acque costiere italiane. Le uova della femmina, tolte dal pesce lasciando intatta la membrana, lavate, salate, pressate, seccate al sole e poi racchiuse in un involucro di paraffina, costituiscono la specialità chiamata “bottarga”. Il cefalo, come la trota, si presta molto bene all’allevamento e richiede acque molto ricche di ossigeno, fresche e limpide. Viene considerato un pesce semigrasso con un elevato quantitativo proteico. Le sue carni sono facilmente digeribili, grazie alla presenza di uno scarso tessuto connettivo. Inoltre, per il considerevole contenuto in lisina, aminoacido indispensabile per la crescita, l’assunzione della carne di cefalo è indicata nei periodi di accrescimento.

Dentice – Appartiene alla famiglia degli Sparidi, che comprende circa 100 specie di pesci ritrovabili prevalentemente nei mari tropicali e temperati, anche se non mancano quelli tipici dei mari freddi. Il più noto è il dentice “comune”, che raggiunge la lunghezza di un metro ed un peso di 12 chilogrammi circa. Vive lungo le coste rocciose e sui fondali sabbiosi, ad una profondità di circa 30 m. Esso è un abile predatore e cattura pesci di piccolissima e media taglia, soprattutto i latterini.

Il colore del dentice varia secondo l’età. Per esempio, la macchia nerastra in vicinanza delle pinne pettorali tende a sparire poco dopo la morte. I giovani adulti hanno dorso azzurro-acciaio e fianchi argentei, mentre gli esemplari molto grossi possono assumere un colore rossastro.

Latterini – Sono pesci piccoli, molto delicati, lunghi fino a 15 cm, con corpo e capo rivestiti completamente di squame. Alcuni sono prevalentemente marini e costieri, altri di acque dolci. Si nutrono di plancton e vivono in gruppi per periodi anche lunghi nello stesso posto, non lontano dalla superficie. I latterini che popolano i nostri mari presentano uova con lunghe appendici filiformi mediante le quali si attaccano alla vegetazione.

Merluzzo, baccalà e stoccafisso – Il merluzzo è un pesce onnivoro, che vive nelle acque fredde e salate dell’emisfero settentrionale. Quello dell’Atlantico è il più grande di tutti e ha le carni più bianche, mentre quello del Pacifico lo si ritrova lungo il territorio dell’Alaska, dove la corrente calda giapponese incontra la corrente artica. Un merluzzo femmina, della lunghezza di un metro, può produrre, in occasione di ogni deposizione, tre milioni di uova. Se la femmina è più lunga di venticinque centimetri, il numero delle uova può arrivare a nove milioni. Un merluzzo adulto vive dai venti ai trent’anni, con un tasso di fecondità che viene determinato più dall’età che dalle dimensioni. La produzione di questa enorme quantità di uova dipende dal fatto che poche riusciranno a raggiungere la maturità, in quanto vengono distrutte dal movimento del mare, o mangiate da altre specie.

La carne del merluzzo ha un ridotto contenuto lipidico e possiede un’elevata percentuale di iodio e di proteine, queste ultime inferiori solo a quelle del tonno. Le uova, ricche di fosforo, vengono consumate non solo fresche, ma anche essiccate. Dal merluzzo, infine, si ricava il baccalà (merluzzo salato), lo stoccafisso (merluzzo essiccato) e l’olio di fegato, altamente apprezzato per il suo contenuto vitaminico.

Il baccalà apparve in Italia prima sulle mense degli aristocratici e poi su quelle dei poveri. Fino a non molto tempo fa esso si otteneva dal merluzzo mediante un processo di salatura naturale al sole. Attualmente il metodo più utilizzato è la salatura del pesce disidratato artificialmente. Lo stoccafisso, infine, è un derivato del merluzzo sottoposto a procedura di essiccazione. Con entrambi i prodotti, dopo averli fatti rinvenire in acqua per 24-48 ore, si apporta all’organismo una significativa quota di vitamina D.

Nasello – A differenza del merluzzo, il nasello può raggiungere una lunghezza media non superiore al mezzo metro. Queste due specie ittiche, pur avendo carni molli e delicate con masse muscolari poco compatte, si contraddistinguono per la loro buona conservabilità, anche se l’aspetto esteriore denuncia spesso la loro poca resistenza ai traumi ambientali. La parte che si deteriora più facilmente è quella a contatto con l’apparato digerente in quanto, contenendo abbondante materiale ingerito, può essere fonte di decomposizione trasmissibile per contiguità alla muscolatura adiacente.

Orata e spigola – L’orata, pesce molto pregiato, presenta una macchia dorata su ogni guancia ed un’altra a forma di mezza luna al centro degli occhi. La spigola, conosciuta anche come branzino o lupo di mare, ha invece, un colore più argenteo, il dorso è più scuro, il ventre è bianco. Entrambe sono ricche di iodio e fosforo, ma anche di proteine e di lipidi ad elevato valore biologico. Molto diffuse in commercio quelle di acquicoltura, con un costo notevolmente inferiore rispetto a quelle di mare aperto, le migliori per essere sfilettate e consumate crude come carpaccio.

Pesce spada – Il pesce spada è diffuso in tutti i mari tropicali e temperati del mondo. Esso ha una forma molto caratteristica, inconfondibile: presenta, infatti, “una spada” tagliente posta sulla parte superiore del muso e dei denti rudimentali. Vive principalmente isolato, è agilissimo, molto veloce e temibile per la sua spada, in quanto capace di trafiggere le piccole imbarcazioni.

Per valutare la conservabilità del pesce spada è necessario sia palparlo per apprezzarne la consistenza, che esaminarne l’occhio. Ma il dato più interessante è la spada: nel pesce fresco essa presenta una macchia più o meno intensamente rossa e sfumata, che si allunga verso la punta e si attenua poi con il tempo, mentre la carne dovrà avere un colore roseo, tipo carne di vitello. Inoltre, rispetto al tonno, con il quale condivide numerose proprietà nutrizionali, il pesce spada possiede un contenuto in sangue inferiore, colorito più chiaro dei tessuti ed una maggiore conservabilità. Reperibile anche affumicato, per il suo notevole contenuto lipidico, esso si presta per essere cotto alla piastra.

Salmone e trote – Appartenenti alla famiglia dei Salmonidi, il salmone e diversi tipi di trota, si ritrovano in tutto l’emisfero settentrionale e comprendono forme migratrici, che depongono le uova nelle acque dolci, ma trascorrono un periodo più lungo nel mare, e forme sedentarie, che vivono l’intera vita nei laghi e nei fiumi. Nel periodo della riproduzione, i salmoni adulti, grassi e in buone condizioni, lasciano il mare e risalgono i fiumi. A loro volta, i giovani salmoni, una volta raggiunta la lunghezza di 10-20 cm, migrano nuovamente verso il mare, dopo un periodo di adattamento alla foce del fiume. La loro crescita è lenta in acqua dolce e rapidissima in mare, tanto che raggiungono il mezzo metro di lunghezza già dopo un anno di permanenza in mare aperto.

Attualmente, la forma di salmone più commercializzata è quella conservata in scatola al naturale, cioè bollita, o affumicata, ma non è infrequente reperire in commercio anche quello fresco, sia pure di allevamento. Per essere considerato eccellente, il salmone affumicato deve essere lievemente salato e non deve perdere il sapore spontaneo di pesce. Il colore deve essere roseo e non arancione, la polpa morbida ed asciutta. Dal punto di vista nutrizionale, esso dispone di un’elevata quantità di proteine, ma soprattutto di lipidi. Degno di nota è anche il suo contenuto in fosforo e calcio.

A volte è difficile distinguere il salmone dalla trota, che ha un grande corpo con un peduncolo caudale ed una testa più ottusa. Essa è molto apprezzata per le carni magre, saporite e sode, non fibrose, che non sanno mai di fango, proprio perché vive in acque correnti e limpide. La trota è un tipico ospite delle acque ricche di ossigeno, fresche, pulite ed abbondanti, e si adatta a bacini non molto estesi, grazie al suo particolare stomaco che gli consente di assimilare bene anche il cibo artificiale. Per quest’ultimo motivo, la trota rappresenta una delle specie ittiche più adatta per l’allevamento, a condizione che sia organizzato e gestito nel miglior modo possibile. Infatti, l’elevata qualità di questo pesce è garantita anche dalla sua estrema sensibilità all’inquinamento delle acque, sensibilità che ne ha consigliato perfino l’uso come test di ittiotossicità. Nella carne della trota si ritrova un rapporto ideale tra acidi grassi saturi e polinsaturi ed una bassa concentrazione di colesterolo.

Sarago – Detto anche sparaglione, esso ha un corpo ovale appuntito, una colorazione grigio-brunastra nel dorso, argentea sui fianchi e più chiara nel ventre. Lo si ritrova lungo le coste rocciose, dove vive in piccoli gruppi, anche insieme a specie di altri generi. Durante l’alta marea, il sarago va alla ricerca di scogli su cui trovare molluschi. Ricco di proteine e lipidi, questo pesce dispone anche di una discreta quantità di iodio e di calcio.

Sgombro – Lo sgombro è un pesce oceanico, vive in gruppi e compie migrazioni lunghissime. Si ritrova nelle acque superficiali ed ha una rilevante importanza economica, infatti è oggetto di pesca a livello industriale e artigianale. Durante il periodo riproduttivo esso digiuna per nutrirsi poi abbondantemente di sardine e di crostacei planctonici che ingerisce facendo passare l’acqua attraverso i filtri branchiali. La carne di sgombro è ricca di grassi e, nell’accezione popolare, è anche conosciuto col nome di “maccarello”.

Storione – Si tratta di un pesce marino che presenta una caratteristica insolita: uno scheletro in parte osseo ed in parte cartilagineo. La carne è ottima, anche se non molto ricercata sul mercato, con una buona percentuale di grassi monoinsaturi, fosforo, potassio, niacina e proteine. Invece, le uova di storione (anche note come caviale “beluga”) sono da molti considerate un cibo pregiato con uno spiccato potere energizzante, in virtù della notevole percentuale di sodio, fosforo, ferro, calcio, colesterolo e proteine.

Tonno – Il tonno, comune nelle acque italiane, ha carni ricche di lipidi, gustose e utilizzabili cotte o anche crude, tanto che, per i Giapponesi, esso rappresenta un ingrediente indispensabile per la preparazione del sushi. Il contenuto nutrizionale del tonno, ricco di vitamine A, D e B, nonché di fosforo, ferro e selenio, variano a seconda della specie, dell’età, del sesso e della stagione. Il maggior cambiamento avviene prima o dopo la stagione riproduttiva, soprattutto per quanto riguarda la percentuale dei lipidi. Oltre a quello da consumare fresco, il tonno e anche adatto per la conservazione. Quello sott’olio contiene il 31% di proteine ad elevato valore biologico, percentuale superiore a quello della stessa carne bovina, anche se si presta a numerose contraffazioni. Quando si apre la scatola, la carne deve apparire di colore rosa intenso-rosa chiaro, deve emanare un odore delicato e gradevole e l’olio che lo ricopre deve essere limpido. Inoltre, non deve presentare sbriciolature, ma deve essere un trancio di pezzatura uniforme. Soprattutto, non si devono avvertire sapori anomali, punte di amaro o stopposità.

Pesci di scoglio o di fondale

I pesci di scoglio o di fondale si distinguono dal punto di vista nutrizionale soprattutto per il loro contenuto in silicio, componente strutturale utile nelle fasi di accrescimento dell’organismo umano, o nei casi di deficit minerale del sistema osteo-articolare, compresa l’osteoporosi.

Triglia – Appartenente alla famiglia delle Mullidae, si distingue una varietà di fango ed una di scoglio. La triglia è uno dei pesci più pregiati del Mediterraneo ed è uno dei pochi che viene cotto intero, cioè senza essere squarciato e svuotato. Questa pratica, però, risulta comune solo per le triglie molto piccole. Tali pesci hanno carni sode, nonché pelle e fasci muscolari addominali delicati, per cui sono facilmente deperibili.

Platessa o Passera di mare – Ha un corpo fortemente appiattito e, rispetto alla sogliola o al rombo, la conservabilità è superiore, sia per le ridotte dimensioni delle cavità viscerali, che per il limitato sviluppo dell’apparato digerente rispetto alle masse muscolari. Per il controllo della freschezza, particolare menzione merita l’esame della faccia inferiore più chiara. Qui, infatti, si possono apprezzare eventuali alterazioni avvenute durante la conservazione.

Rombo – Alla famiglia dei Bothidae, formata dai pesci “piatti sinistri”, appartiene il rombo. La denominazione di pesci piatti deriva non solo dalla loro forma appiattita, ma anche dal fatto che essi, dopo pochi giorni di vita, cominciano a nuotare coricati su un fianco. Il rombo ha una lunghezza di circa 60-70 cm, un peso di 10 kg ed una colorazione bruno-grigiastra, a volte giallognola con macchioline più chiare e/o più scure. Esso ha una carne molto delicata e si presta per numerose preparazioni nutrizionali.

Sogliole – Si tratta di un pesce molto appiattito che normalmente staziona sui fondali marini, esponendo verso la superficie il lato provvisto di occhi, anche se, in realtà, uno di essi è atrofizzato. Il lato opposto, cioè quello posato sul fondo sabbioso, è privo di occhi ed è molto chiaro. La sogliola ha un’ottima carne magra, ricca di silicio, per cui rappresenta uno dei primi pesci proposti ai bambini nel corso dello svezzamento, ma viene anche utilizzato negli adolescenti in accrescimento, nell’osteoporosi o nelle carenze di calcio, in pasti che prevedono altri alimenti dotati della stessa finalità terapeutica.

Rana pescatrice – Alla famiglia Lophiidae appartiene la rana pescatrice. Vive nelle acque nord europee ed è diventata di grande importanza commerciale. Essa popola i fondali arenosi o melmosi anche fino a centinaia di metri di profondità e ha una lunghezza massima di 150 cm ed una forma caratteristica, quasi impressionante. Il suo corpo, infatti, è fortemente ristretto nella porzione posteriore e presenta una testa larga ed una bocca ampia e munita di robusti denti. Di questo pesce si mangia la coda, la cui carne è straordinariamente bianca e soda, paragonabile a quella dell’aragosta. In Italia è conosciuta soprattutto con il nome di “coda di rospo”.

Razze – Sono pesci dal corpo lungo e piatto, con contorno circolare o romboidale, che vivono normalmente sui fondali. Una variante è data dalle torpedini, che si difendono con l’emissione di scariche elettriche violente. La valutazione del carattere di freschezza di questi pesci (consistenza delle parti muscolari) è molto semplice, data la loro commercializzazione senza pelle. Le razze spellate presenteranno una muscolatura rosea con striature rosse di sangue, mentre il viraggio dai colori rosa-rosso alle tonalità di grigio attesterà il limite di commestibilità. Risulterà utile per la razza, così come per la rana pescatrice, anche l’esame della faccia ventrale. Nelle razze fresche, infatti, si noterà un colore roseo soffuso, che diventerà rosso ai margini. Tale colore virerà, a seconda del grado di alterazione, dal grigio chiaro al grigio scuro.

Molluschi

I molluschi sono invertebrati provvisti di un corpo caratteristicamente molle, in genere protetto da un guscio o conchiglia. Quest’ultima può essere esterna, a una o due valve, come nelle vongole o nelle cozze, o interna, come nei calamari e nelle seppie.

I molluschi bivalvi commercializzati devono essere vitali e freschissimi. La vitalità, però, non è un requisito determinante la commestibilità, in quanto può verificarsi una moltiplicazione batterica, con conseguente alterazione del prodotto, anche in presenza di molluschi apparentemente freschi e vitali. La vitalità viene rilevata solo stimolando meccanicamente o chimicamente l’animale.

L’esame interno del mollusco viene preceduto da quello esterno delle valve. Queste ultime devono presentarsi tenacemente chiuse ed apribili solo dopo averne tagliati i muscoli adduttori. All’interno delle valve, bisogna prendere in considerazione lo stato del liquido e del corpo dell’animale. Il liquido sarà più o meno abbondante a seconda del tempo trascorso tra la raccolta e l’utilizzazione. Il corpo dovrà essere lucente e di colore bianco-giallastro-arancio. Nel mollusco non più fresco e vitale, quindi non commestibile, è possibile riscontrare: valve socchiuse o semi-aperte che non si richiudono dopo stimoli, sostanziale leggerezza del mollusco e suono vuoto alla percussione. Inoltre, il liquido perde il suo peculiare carattere e la sua limpidezza o, addirittura, manca del tutto e l’odore diventa sgradevole.

Cozze – Come le ostriche, i datteri di mare, i tartufi, le vongole, le telline, e i cannolicchi, le cozze appartengono alla classe dei molluschi lamellibranchi o bivalvi, in quanto possiedono due pezzi di conchiglia connessi tra loro da un legamento elastico, che ne permettono l’apertura e la chiusura. Questi bivalvi secernono una sostanza, grazie alla quale si fissano alle rocce o ad altri sostegni e sono attualmente oggetto di una intensa coltivazione artificiale, che può avvenire anche in bacini inquinati. Se si considera che le cozze hanno una straordinaria capacità di filtrare l’acqua e di trattenere eventuali batteri in esse presenti, si intuisce anche che è necessario farle “riposare” in acque pulite prima di consumarle crude con limone, come altri molluschi, o cotte, eliminando quelle rimaste chiuse. Il liquido va filtrato per drenare la sabbia, ma è prezioso poi nella cottura. Le cozze sono un alimento ad elevato contenuto di sodio, fosforo e ferro, con una minore percentuale di iodio e calcio rispetto alle vongole.

Vongole – Tra le più diffuse e pregiate va segnalata la vongola verace o vongola vera, che può raggiungere un diametro di otto centimetri. Presenta un guscio percorso da sottili striature di colore chiaro giallastro, verdastro o grigio, spesso con macchie scure. La vongola tipica dei nostri mari è, invece, grigia e di taglia inferiore. Le vongole vanno acquistate solo se sono vive e perfettamente chiuse. Vanno spazzolate a lungo, lavate accuratamente ed il liquido che emettono deve essere filtrato con cura prima di essere utilizzato, in quanto esse vivono nella sabbia e ne trattengono molta tra le valve. Le vongole sono ricche in sali minerali e, come tutti gli altri mitili, possono innescare reazioni allergiche.

Ostrica – Vive lungo le coste europee, dal Mediterraneo al Mare del Nord, attaccata con una delle valve alle rocce marine o a sostegni vari. Si nutre di sostanze organiche sospese nell’acqua, e ha una conchiglia con valva inferiore arrotondata, ovale, lamellare, di colore bianco o giallino o verdastro con sfumature violacee. La sua superficie è irregolarmente ricoperta da incrostazioni varie.

Nella coltivazione intensiva, la grande prolificità dell’ostrica viene sfruttata cercando di impedire che le larve prodotte vadano perdute prima di potersi fissare ad un substrato. Trattandosi di molluschi che, per esigenze nutrizionali, filtrano una notevole quantità di acqua, se allevate in acque inquinate e consumate crude possono essere apportatrici di malattie, soprattutto di origine batterica. Per ovviare ciò, le ostriche vengono depurate prima di essere immesse sul mercato e sono dotate di uno straordinario patrimonio nutrizionale utile nei deficit della libido, ma anche per sostenere e stimolare la vigilanza neuro-psichica.

Polpo – Può raggiungere anche un metro di lunghezza ed un peso di 20 kg. Per difendersi è provvisto di ghiandole salivari che producono un secreto ad azione paralizzante. Pescato durante tutto l’anno, il polipo possiede un elevato contenuto di vitamina A, per cui risulta molto utile nei disturbi della visione notturna e, considerando lo scarso contenuto in lipidi, lo si può definire un pesce magro.

Moscardino – E’ un mollusco simile al polpo, ma più piccolo di dimensioni. Ha una lunghezza massima di 40 cm e lo si ritrova frequentemente nei fondali di fango o sabbiosi. Si pesca soprattutto in inverno e, come il polpo, presenta un basso contenuto di lipidi.

Seppia – E’ caratterizzata da un corpo ovale, alquanto schiacciato, con dieci tentacoli provvisti di ventosa. La conchiglia calcarea, nota come “osso di seppia”, è posta internamente al corpo dell’animale. Molto sviluppata è la ghiandola del nero il cui secreto, spruzzato nell’acqua, consente all’animale di nascondersi. Anche la seppia può essere considerata un pesce magro e va sottolineato che apporta, come gli altri molluschi cefalopodi, un’elevata quantità di zinco.

Calamari – Hanno una lunghezza variabile tra i 30 ed i 50 cm. Il calamaretto, molto simile al calamaro, si differenzia per le dimensioni inferiori (non supera mai i 30 cm) e per il colorito roseo. I calamari vivono in prossimità delle coste e nuotano sulla superficie dell’acqua. Sono di colore rosa- violaceo e come le seppie, secernono un liquido nero che permette loro di difendersi. I calamari dispongono di un contenuto di vitamina A paragonabile a quello degli altri molluschi cefalopodi ed un quantitativo proteico leggermente superiore.

Totani – Vengono spesso confusi con i calamari. Hanno dimensioni maggiori e possono raggiungere il metro di lunghezza. Si riconoscono in quanto la loro pinna è triangolare e si trova nell’estremità posteriore del corpo, mentre quella dei calamari è più grande, ha una forma romboidale ed avvolge quasi per metà il corpo del mollusco. Quando sono freschi, entrambi hanno colori netti, lucenti e definiti. Invece, con il trascorrere del tempo (in seconda, terza o quarta giornata) si osserva un opacamento dei colori della superficie dorsale, mentre quelli ventrali assumono sfumature grigio-giallastre.

Crostacei

I crostacei comprendono molte specie che si sono adattate a vivere negli ambienti più vari e che hanno assunto aspetti diversi. La grande maggioranza di essi conduce un’esistenza acquatica ed è provvista di appendici o arti che gli consentono di compiere svariate funzioni. Una peculiarità anatomica dei crostacei è la presenza del carapace, duplicatura cutanea della testa che, fondendosi con il dorso, assume la forma di scudo. Esistono però varietà prive di questa struttura.

I crostacei sono nel loro momento migliore quando le ovaie raggiungono la piena maturazione. Al mercato, conviene scegliere quelli con corazze ben dure, quindi più adulti e vanno cotti generalmente immergendo l’animale vivo in acqua bollente. Dopo la loro morte, iniziano rapidamente i processi alterativi indotti da enzimi e germi. In particolare, la moltiplicazione di questi ultimi è favorita dalla conformazione dell’esoscheletro o carapace: nel suo interno, infatti, si può determinare, come in un vero e proprio contenitore, un terreno di coltura microbica che si estende alla parte muscolare tramite il filamento intestinale che la percorre. Per quanto riguarda il tono muscolare, è opportuno sottolineare che esso, conferendo al crostaceo fresco un’apprezzabile consistenza, rende il corpo resistente alla flessione. Questa caratteristica non è, invece, apprezzabile nei crostacei meno freschi, a causa dell’assenza di tono muscolare. Inoltre, a differenza di quelli non freschi, le masse muscolari dei crostacei freschi appaiono anche compatte al tatto.

Esistono, infine, altri criteri che ci permettono di definire “avariato” un crostaceo. Tra questi vanno segnalati: la presenza sul corpo di un trasudato liquido meno limpido e di odore sgradevole; la comparsa sulla parte anteriore del carapace di una piccola macchia bruno-verdastra sfumata, che poi si fa sempre più evidente fino a diventare nerastra con il trascorrere dei giorni; il viraggio dal colore verdognolo a quello nero del filamento presente in corrispondenza dell’intestino.

Aragosta – E’ tra i più grossi crostacei marini e può raggiungere la lunghezza di mezzo metro. È diffusa sia negli Oceani che nel Mediterraneo, specie in prossimità delle coste delle nostre isole e vive su fondali rocciosi o ghiaiosi. Ha un guscio spinoso ed un corpo suddiviso in numerosi segmenti. Inoltre, essa è dotata di due antenne lunghissime ma è priva delle robuste pinze o chele, tipiche invece degli altri crostacei. La carne di aragosta è ricca di calcio e fosforo e, come tutti i crostacei, può innescare fenomeni di sensibilizzazione e di gravi reazioni allergiche. Infine, l’aragosta può essere considerata un crostaceo a basso contenuto di colesterolo e di lipidi in generale.

Astice – Noto anche come elefante di mare, è il più grosso crostaceo del Mediterraneo. L’astice, dotato di una carne ricca di notevole potere nutrizionale, staziona sui fondali rocciosi a notevole profondità ed il suo consumo alimentare apporta iodio, calcio e fosforo, oltre a proteine di grande valore biologico.

Scampo – E’ simile all’astice e all’aragosta, ma molto più piccolo: raggiunge, infatti, una lunghezza massima di 25 cm. Ha colore bianco o giallo ed è munito di due lunghe chele. Questo crostaceo non è molto comune nel Mediterraneo, essendo tipico dei mari freddi. In cucina vengono utilizzate le code degli scampi, ossia la polpa della parte centrale del corpo privata della vena intestinale. Ha un discreto contenuto proteico ed una notevole quota di calcio e fosforo.

Gamberi – Come molti crostacei, anche i gamberi si nascondono e si mimetizzano nei fondali sabbiosi. Tra le specie più tipiche ed apprezzate ricordiamo il gambero rosso, il gambero imperiale o mazzancolla, di colore rosato, ed il gambero bianco, che vive in acque profonde. Particolarmente apprezzato è il gambero di fiume, che si ritrova in acque poco profonde, lungo la riva dei laghi, degli stagni, dei corsi d’acqua più piccoli, nei luoghi cioè dove l’acqua è pulita e ben ossigenata, evitando i torrenti freddi alimentati da acqua sorgiva. Per crescere, il gambero ogni tanto deve liberarsi della dura corazza che ricopre il suo corpo. Per effettuare ciò, questo crostaceo sguscia fuori dalla vecchia corazza attraverso una fessura che si forma tra la corazza principale e la parte posteriore del corpo (“la coda”). La durata della muta varia dai 10 ai 60 minuti e sono necessari 8-10 giorni affinché la nuova corazza indurisca. Durante queste fasi, il gambero è molle e privo di difesa, non è in grado di muoversi dal suo nascondiglio, ma cresce rapidamente. I gamberetti hanno dimensioni ancora più piccole, corpo slanciato e lunghi arti provvisti di chele. Le specie più comunemente utilizzate in cucina sono quella grigia e quella rosa. Va segnalato che la carne dei gamberi ha un discreto contenuto proteico, è particolarmente ricca di vitamina A e di fosforo.

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